La frontiera che affoga

Un anno fa, un peschereccio sovraccarico è colato a picco nella fossa di Calipso, il punto più profondo del Mediterraneo.

Esattamente nella notte tra il 13 e il 14 giugno 2023, l’imbarcazione Adriana partita da Tobruk, in Libia, e diretta in Italia, è naufragata al largo di Pylos, a sud del Peloponneso, Grecia, con a bordo circa 750 persone.
Solo 104 sono stati i superstiti, di cui uomini siriani, egiziani, palestinesi e pakistani e 81 i corpi recuperati.
Nel caos informativo che ne è seguito, i familiari delle vittime ancora attendono risposte esaustive e giustizia.
I 104 sopravvissuti sono stati recuperati in mare e trasferiti al campo di Malakasa per l’identificazione e la registrazione della domanda d’asilo.
Tra questi, 9 egiziani sono stati ingiustamente incolpati di traffico di essere umani e detenuti per undici mesi in carcere.
Il 21 maggio 2024, il tribunale di Kalamata ha finalmente assolto i 9 superstiti, riconoscendo l’avvenimento del naufragio in acque internazionali e facendo decadere tutte le accuse dichiarandosi incompetente sul caso.
Le violazioni perpetrate in questo anno sono continuate anche dopo la decisione della Corte d’Appello, quando i 9 sopravvissuti sono stati trasferiti alla stazione di polizia di Nafplio e illegalmente trattenuti ancora una volta.


Borderline Europe denuncia come in Grecia vi siano ad oggi circa 2.154 persone imprigionate per traffico di esseri umani, con una condanna media di 46 anni di reclusione.
In molti di questi casi, dove le persone in movimento vengono tipicamente arrestate subito dopo lo sbarco e messe in custodia cautelare, sono stati riscontrati casi di arresti arbitrari, coercizione, abusi e torture durante gli interrogatori senza un adeguato supporto legale e di traduzione.
La maggior parte dei sopravvissuti ha ricostruito le dinamiche della strage testimoniando come il barcone si sia ribaltato in seguito al tentativo della Guardia costiera greca di trainarlo con una corda verso le acque di soccorso di competenza italiana.
Le autorità greche, di controparte, sostengono come causa del naufragio il sovraccarico del peschereccio.
Un sovraccarico che la Guardia costiera greca dimentica di ricollegare al termine “umano”, visto che sull’Adriana vi erano oltre 700 persone, sorvolando poi sulla totale mancanza di presa in soccorso delle persone che nel frattempo stavano annegando davanti ai loro occhi.
Nella strage di Pylos sono morte più di 600 persone, donne e bambini compresi, dove a fare la differenza tra la vita e la morte sono stati dettagli frutto delle proprie esperienze di vita e della fortuna.
I., pakistano di 22 anni, aveva l’hobby della pesca subacquea quando era più piccolo e questo gli ha permesso di salvarsi nuotando tra i corpi di amici e parenti verso quella barca della Guardia costiera greca che sempre più si allontanava man mano che l’Adriana affondava.
I. ci racconta che lui, assieme agli altri connazionali, che rappresentavano la maggioranza dei passeggeri, erano stipati con le donne e i bambini nella pancia della nave.
Il costo di un biglietto può quindi decidere il destino di una persona, dando come scelta o il sole cocente del ponte o l’asfissia delle sale che un tempo avevano contenuto le celle frigorifere per il pesce.
“Il naufragio di Pylos pare essere stato un altro tragico esempio della rinuncia alla responsabilità, da parte delle autorità greche, di salvare vite in mare. Una piena ricostruzione di quanto accadde è fondamentale per assicurare verità e giustizia ai sopravvissuti e alle famiglie delle vittime ed evitare ulteriori morti in mare”, ha dichiarato Judith Sunderland, direttrice associata di Human Rights Watch.
A un anno di distanza dal massacro, questa rinuncia è stata più volte confermata.
Esattamente per questa ragione è fondamentale dare spazio alla memoria dei sopravvissuti e richiedere con forza e a coro unito, giustizia per ciò che l’Europa delle frontiere si è resa responsabile a Pylos.