ANSA: Volontari italiani, speranza in inferno profughi. Da un anno e mezzo in un campo profughi dimenticato da tutti

Libia/Siria - (di Lorenzo Trombetta)

BEIRUT, 19 FEB - Huda, 38 anni, siriana, è da sola: con tre figli, due dei quali gravemente malati, sopravvive in un campo profughi improvvisato al confine tra Siria e Libano sperando che il marito riemerga dalle carceri del regime di Damasco nel quale è sparito due anni fa. Il piccolo Nidal ha invece tre anni e per giorni è rimasto tra la vita e la morte in una tenda del campo spazzato via dalle intemperie. I genitori lo davano per morto e nemmeno l'intervento di un prete della zona aveva convinto un ospedale vicino ad accettare Nidal perché "siriano".

Testimoni di queste e di mille altre storie di quotidiana disperazione sono alcuni volontari italiani che un anno e mezzo fa hanno deciso di sostenere decine di famiglie siriane ammassate nell'estremo nord-est del Libano, sull'altipiano dell'Akkar che sovrasta la piana siriana di Homs.
Della missione libanese di "Operazione Colomba" - corpo di pace della Comunità Papa Giovanni 23/mo già presente in Israele e territori palestinesi, Colombia e Albania - fanno parte, tra gli altri, Alberto Capannini, 48 anni, di Rimini, e Corrado Borghi, 35 anni, di Reggio Emilia. Assieme ad altri quattro volontari per periodi che variano da un mese a due anni, loro due si alternano nel campo di Tel Abbas a fianco di circa 50 famiglie siriane provenienti dalle martoriate regioni di Homs, Idlib, Damasco.
Il campo, che dista appena quattro chilometri dal confine con la Siria, riceve "aiuti scarsi che, tra l'altro, stanno finendo", afferma una dei volontari. L'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati (Unhcr) ha informato gli ospiti del campo che a breve non saranno più distribuite le tessere per il
cibo.
"Qui ci sono i più poveri tra i profughi. Chi non può pagare un affitto in un appartamento o in un garage né ha i mezzi per costruire una baracca", afferma una dei volontari, che vivono in una tenda del campo. Da tempo Capannini e i suoi colleghi aiutano Huda e i bambini malati di talassemia, donando il sangue per le trasfusioni, raccogliendo donazioni per pagare i farmaci e cercando di sostenerla "nel portare assieme a lei il peso della vita quotidiana". "Vive in una tenda poverissima -
raccontano i volontari - ma non chiedere asilo in un Paese europeo perché spera che suo marito torni. Per ben due volte - prosegue il loro racconto - Huda ha ricevuto la notizia che il marito era morto sotto tortura o colpito da bombardamenti.
Entrambe le volte le voci sono state smentite" Così come si spera che si rimetta presto Nidal, nato tre anni fa, due dei quali passati da profugo. Si è ammalato per il freddo ed è stato in fin di vita. "Gli ospedali della zona non accettano siriani o chiedono in anticipo alle famiglie il conto salato delle cure mediche". Un prete del posto, allertato dai volontari, ha trasportato in auto il corpicino di Nidal fino a un ospedale vicino. "Hanno chiesto la garanzia di pagamento e il prete l'ha fornita. Ma in quanto siriano e non è stato accettato. Nidal è stato riportato nella tenda dei genitori che hanno vegliato su di lui per tutta la notte. Fino al suo risveglio".
Meno fortunato è stato Muhammad, un ragazzino morto fulminato da cavi elettrici che, immersi in un catino pieno d'acqua, vengono usati per riscaldarsi. "Muhammad cresceva qui, senza scuola, senza cure mediche, senza futuro come tutti gli altri. Voleva sempre giocare e correre", racconta Borghi.
"Scappava dalla violenza. Come tutti siriani".

(ANSA).