Esercito nel campo profughi di Tel Abbas

Libano/Siria

Martedì 26 luglio, poco dopo le 5.30 del mattino, l'esercito libanese ha fatto irruzione nel campo profughi di Tel Abbas, dove vivono i volontari di Operazione Colomba.
Noncuranti della violazione della sfera personale che stavano compiendo, i soldati sono entrati nelle tende mentre tutti dormivano, senza dare nemmeno il tempo alle donne di coprirsi il capo con il tradizionale hijab.

Gli uomini sono stati portati via dalle loro tende davanti agli occhi delle proprie famiglie, le quali si sono trovate ad assistere impotenti alla scena.
In una di queste, il capo famiglia è stato arrestato nonostante la moglie continuasse a ripetere che era malato di cancro; i soldati hanno minacciato di arrestare anche uno dei figli, tutti minorenni, mentre un altro è corso a nascondersi nel bagno per la paura. La piccola S, di soli 9 anni, ha avuto il coraggio di interporsi fra il padre ed i soldati, chiedendo loro perché lo stessero portando via.
La motivazione ufficiale del raid è stata quella di una segnalazione riguardante la presenza di armi all'interno del campo, sospetto che non ha trovato conferma nel corso dell'operazione.
Si è trattato, presumibilmente, dell'ennesima prova di forza dell'esercito libanese nei confronti dei profughi siriani.
Parte degli arresti erano già avvenuti quando i militari sono arrivati alla tenda dei volontari di Operazione Colomba. I soldati inizialmente si sono mostrati aggressivi, poiché non erano consapevoli della presenza di internazionali nel campo; atteggiamento che è visibilmente cambiato quando ci siamo identificati come italiani.  Questo ha provocato un profondo disorientamento fra i responsabili dell'esercito che dopo poco hanno messo fine all'operazione.
E' possibile che la nostra presenza abbia impedito ulteriori arresti e sia stato un deterrente all'uso della violenza da parte dell'esercito.
Mentre gli arrestati venivano scortati verso numerosi convogli in attesa, abbiamo percepito una richiesta d'aiuto nello sguardo di un uomo. I nostri tentativi di seguirli e di monitorare la situazione nelle altre tende nel campo sono stati impediti dai soldati; non ci è restato che osservare la scena impotenti.
Il raid si è concluso con undici arrestati nel nostro campo, tra cui un minorenne, un uomo malato di cancro ed un cardiopatico. Abbiamo inoltre avuto notizie di almeno quaranta arrestati nel campo vicino, la quasi totalità dei maschi adulti.
Tutti gli arrestati sono al momento detenuti nel carcere di Tripoli, dove resteranno per almeno 48 ore. In Libano, infatti, è legale detenere fino a 72 ore i profughi siriani senza formalizzare alcuna accusa.

L'impatto emotivo che ci ha lasciato questo episodio è difficile da descrivere a parole.
Ritrovarsi ad assistere impotenti di fronte ad un'ingiustizia così palese ci ha scosso profondamente.
L'irruzione dell'esercito, a danno dei profughi siriani che già hanno subito gli orrori della guerra e sono stati costretti a fuggire dalla morte, ha riaperto ferite dolorose: “Alla fine qui è come in Siria, non si può dormire tranquilli nella propria casa, che arriva l'esercito per portarci via”, ci ha detto una donna. Perché non viene riconosciuta loro questa sofferenza? Perché anche qui sono costretti a subire altri soprusi?
Stiamo vivendo la normalizzazione di una situazione che non può e non deve essere normale: tutti devono avere il diritto di vivere in libertà e in sicurezza, ma questo non è possibile per i profughi siriani, ai quali non resta che aggrapparsi alla speranza di un futuro migliore del quale non sono nemmeno più padroni.
Come spesso accade, i bambini sono le prime vittime di questa normalizzazione dell'ingiustizia; la loro “non-reazione” è quello che più ci dovrebbe far riflettere sul fatto che per loro la violenza e la paura siano diventate quotidianità.

“Noi non chiediamo cibo o vestiti, ma solo che ci venga riconosciuta la dignità”.