Il valore delle piccole cose

Libano/Siria

Casa non è mai stata così lontana. Gli occhi di Abu A., incorniciati dietro un paio di occhiali da lettura che gli pendono dal naso, si strizzano guardando verso il sole che si volge al tramonto. Un'altra giornata è trascorsa, volata in un turbine di sudore e valore. Si guarda le mani, sporche di grasso nero, e i vestiti usati in officina cosparsi di macchie di olio.

Non riuscirà ad andare avanti così ancora molto tempo, ogni volta che il datore di lavoro gli dice di sollevare un carico sente un'unica fitta al disco che gli mozza il fiato. La schiena sta iniziando a tradirlo proprio ora, dopo anni di onorato servizio. Un anno di prigionia, di tortura e di umiliazione hanno lasciato la loro oscura cicatrice, non solo nel corpo piegato, ma soprattutto nell'anima.
Terminato il lavoro Abu A. si incammina come ogni sera verso casa, anche se casa non è mai stata così lontana. Ha imparato a chiamare casa una tenda di plastica e legno, addobbata al suo interno come una sontuosa abitazione: divano, tappeto, tende e letto matrimoniale. Sul letto, le sue rugose mani di fabbro hanno inciso due iniziali: quella del suo nome e quella di sua moglie, amatissima  M..
Il cuore gli si scalda ripensando a lei che lo attende, insieme ai suoi tre figli .
Ci sono poche cose che possono salvare un uomo dalla follia, si ripete ogni giorno nella strada verso il campo profughi, gli affetti sono una di queste colonne. Abu A. sorride al pensiero di quante persone sottovalutino la potenza delle relazioni, di quanti vivano lasciandolo andare al vento del caso, senza assaporare ogni momento di pace concesso dalla vita. Il valore delle piccole cose, questo forse è ciò che salva un uomo nel precipizio, il profumo delle lenzuola fresche di bucato, i colori sgargianti dei fiori nel tuo giardino, il tè e la colazione gustati la mattina presto, quando le tende vicine sono ancora addormentate e nella zona regna il silenzio, il valore di un oggetto costruito con le proprie mani.
Il sole è quasi scomparso e la moschea richiama alla preghiera, una sottile striscia rosso fuoco tra le nuvole annuncia che il giorno sta lasciando il passo. La maggioranza delle persone sono tornate in casa dalle loro famiglie, presto anche lui potrà farlo. Su un muretto persistono un gruppo di ritardatari intenti a sorseggiare l'erba mate, li saluta con un cenno distratto della mano e rifiuta gentilmente l'offerta di unirsi a loro. Per oggi ha già dato in convenevoli, ha solo voglia di vedere visi amichevoli.
L'uomo dagli occhi che brillano è quasi arrivato agli ulivi che delimitano l'ingresso del campo, sembrerebbe anche un luogo piacevole, se non fosse per la storia di dolore e sofferenze che ne deriva.
A volte la ferita oscura torna a sanguinare, e lo obbliga a ricordare, a risentire il dolore, gli insulti e le botte. Il cuore a stento regge, ma ha imparato a costruirsi una corazza vitale, se vuoi sopravvivere dopo una guerra devi imparare ad indurire le emozioni ma non i sentimenti. Le emozioni vanno e vengono e rischiano di trascinarti via, i sentimenti sono come semi piantati, e se ben curati crescono rigogliosi e danno frutto. La notte spesso fa fatica ad addormentarsi, immagini e esperienze gli ritornano in testa.
L'anima torna in Siria nei giorni della violenza e della tirannia, quando aerei da combattimento hanno distrutto la sua casa e fatto esplodere la sua auto, il taxi pulito su cui si guadagnava il pane. Il governo che avrebbe dovuto avere cura di lui lo ha bombardato e ha messo sotto assedio il suo ed altri quartieri. Ha imparato a vedere le persone morire e perdere tutto, lui stesso gradualmente scivola nel buio. Non dimenticherà mai la voce della guardia in carcere e il suo sguardo fisso mentre gli comunica la morte della sua prima moglie e di sua sorella, rimaste sorprese da un elicottero mentre andavano a fare la spesa al mercato. Quanti volti affollano le memorie di quest’uomo, le persone amate, gli amici, i suoi tre nipoti martiri anche essi. Uno di loro colpito da una bomba sganciata da un pilota obbediente agli ordini, ucciso mentre stava andando a tagliarsi i capelli in previsione del matrimonio. Dove sono ora tutti questi ricordi, alcuni riaffiorano guardando i figli più grandi, assomigliano così tanto alla loro madre. Sarebbe stata orgogliosa di loro e di come vanno bene a scuola, le pagelle di fine anno li qualificano tra i migliori della loro classe. Abu A. mette un piede davanti ad un altro ed entra nel campo, saluta con brevi cenni della testa gli altri compagni di sventura, gli occhi nocciola brillano nel crepuscolo. I tre figli corrono verso di lui e lo abbracciano forte, gli è mancato tanto nella monotonia del campo profughi, sorride. Domani potrebbe essere l'ultimo giorno, o forse dopodomani, o tra un mese o tra un anno. La Luna ha fatto la sua comparsa in cielo, la luce bianca si riflette sulla tenda, le voci degli italiani nella tenda a fianco si fanno forti e solari. Spera in cuor suo che anche oggi vengano a trovarlo in tenda, sono una delle poche occasioni di svago che ha in questo periodo dell’esistenza. Le voci si fanno sempre più vicine e dopo breve tempo sulla porta di legno si sente un bussare timido. Una frase in arabo stentato “Abu A., possiamo entrare?”. Gli occhi gli si illuminano e brillano nuovamente: “Prego, siete sempre benvenuti qui”.

Ale