Insaniye vuol dire Umanità.

Libano/Siria

A. è bello, è bello davvero. Ha gli occhi tra il verde e il nocciola chiarissimo, un sorriso che chiedendo in giro potremmo insieme definire perfetto. A. è alto, slanciato, sul campo da calcio sembra che nuoti come un pesce nel più bello dei mari.

A. ha spesso il cellulare in mano, collegato a whatsapp o facebook, spesso scherza sulle cose e ti guarda sornione. Se non ha confidenza con te allora ride solamente, senza incrociare i tuoi occhi.

A. ha vent’anni e quando è scappato da Aleppo in autobus con i suoi genitori e i suoi 7 fratelli ne aveva quasi 16. Per alcuni già un uomo, per altri un ragazzo in piena adolescenza, con una vita lunga davanti e molto tempo per scoprire lentamente tantissime cose di questo mondo.

La guerra colpisce le vite delle persone e non è una calamità naturale, come può esserlo un terremoto: è la somma di azioni scelte, compiute da uomini fatti di carne ed ossa, tali e quali a quelli che di queste scelte subiscono in modo totale le conseguenze. La guerra, pensata come violenza incontrollata verso uomini sconosciuti, ci viene raccontata da A. con voce ferma, che raramente a tratti si incrina. Quell’occhio lucente guarda dritto e scorre le pietre per terra, mentre la voce…

…tornando da scuola una volta un proiettile di un cecchino mi ha sfiorato un piede di un centimetro.

…nel nostro quartiere ho visto case cadere distrutte dai bombardamenti a 10 metri di distanza dalla nostra.

…quasi tutti i ragazzi con cui sono cresciuto giocando, i miei amici, i nostri vicini di casa sono morti, uccisi dalle bombe o dai cecchini, mentre andavano a scuola, a lavoro, in ospedale.

Io lo guardo e mi domando: quanto dolore può contenere un cuore solo?

Quanta tristezza può sopportare?

Non so se si sia mai fatto questa domanda, però ci dice che pensare agli amici persi fa solo stare male, così tanti se ne sono andati, come riuscire a pensarli tutti e continuare a vivere una vita quotidiana?

Il tempo è caro qui, curare queste ferite sarebbe importante, ma in questa situazione di insicurezza la priorità sono le olive da cogliere, il pane da portare a casa per i fratelli e le sorelle più piccoli. Anche studiare sarebbe ora un sogno, non c’è tempo, ci sono le olive da cogliere, per uno stipendio nemmeno degno di questo nome.

Vedo A., la sua forza, e mi interrogo sulla sostanza di questa violenza, fino a dove è entrata nella sua interiorità e quali porte lui è riuscito a chiuderle, a non darle spazio.

Mi chiedo sotto che forma questa violenza se ne riuscirà fuori, come una malattia a lui trasmessa, se A. non riuscirà a prendersi il tempo per salutare le persone perdute e rigenerarsi come dalla cenere delle ferite subìte.

Vivere accanto a lui e alla sua famiglia mi ha permesso di pensare a tutto questo, e salutandoli una delle speranze è che la presenza di amiche e amici italiani nel campo insieme a loro sia legna per mantenere viva in questo limbo la fiamma di un’umanità che ancora in lui brucia, nonostante tutto.

Cip