Voglia di libertà

Libano/Siria

A. ne combina di tutti i colori al campo, è davvero una peste, una piccola peste di 7 anni che io adoro. Mi sono innamorata del suo viso segnato da cicatrici che lo rendono già grande, dei suoi occhi vispi e della sua voglia di provocarti sempre: al mattino appena sveglia, nel pomeriggio e alla sera quando ormai crolli per la stanchezza. Ti vuole mettere alla prova e osservare le tue reazioni.


Lui è intelligente, divertente, dolce, forte... talmente forte che nel periodo di Ramadan aveva deciso di digiunare anche lui, anche se ancora piccolo. Vedeva tutti i suoi fratelli più grandi che lo facevano e quindi non poteva non farlo anche lui. E' vero era forte, ma che fatica il digiuno! Lo vedevi che ogni mattina ti diceva tutto fiero che digiunava, poi nel pomeriggio lo vedevi che si riempiva le tasche di cibo e lo teneva li fino alla sera, finalmente il momento in cui si poteva mangiare. Arrivava con una fame, che faceva finta di essere l'Imam e iniziava a cantare la preghiera di fine digiuno prima dell'orario previsto. Era troppo buffo.
Ci piace fare tantissime cose insieme: giochiamo a calcio, ascoltiamo la musica, balliamo, suoniamo, cuciniamo, disegniamo... e quando decidiamo di disegnare una casa, lui disegna un triangolo con una finestra e una porta. Una tenda. È contentissimo del suo disegno e me lo mostra con un sorriso a trentadue denti che mi mette tenerezza. La guerra gli ha portato via tutto, forse anche il ricordo di una casa.
A. adora giocare all'aria aperta, correre, saltare, sporcarsi... ma la cosa che più gli piace è il mare. Ne è proprio innamorato. Quando la prima volta ci sono andata insieme a lui, penso di non aver mai visto bambino più felice. Era il bambino più felice del mondo. Non riusciva a stare fermo: andava di qua, di là, di su, di giù, ma non in acqua perché aveva paura! Raccoglieva le conchiglie, però non una (magari!), ne aveva raccolte talmente tante che mi aveva riempito la maglia. Ed io ero contenta.
A volte rimaneva per qualche giorno li al mare dai suoi zii che vivono sempre in una tenda, ma isolati, non in un campo profughi. Gli piaceva così tanto che non voleva più tornare al campo e quando andavamo a prenderlo, si nascondeva nella serra dove ogni tanto fregava un pomodoro o dei cetrioli che mangiava mentre giocava.
Io osservo A. e forse capisco perché non vuole tornare al campo: al campo sei chiuso li dentro, imprigionato tra le tende, ogni giorno. Al mare invece si sente libero: libero di essere un bambino di 7 anni, libero di non pensare al perché lui debba vivere in una tenda (che a volte lo fa così arrabbiare!), libero di essere spensierato.
Qualche giorno prima di partire, A. mi guarda e mi chiede: “Perché ve ne andate? Come facciamo se torna l'esercito?”. Questa frase mi è rimasta nella mente per giorni. Allora capisco quanto sia importante la presenza dei volontari nel campo; una presenza che non ha niente di straordinario; una presenza che condivide le gioie e i dolori, che ti sta accanto e che ti fa sentire pensato e non abbandonato a te stesso. Questo è quello che i profughi cercano: qualcuno che gli dica: “Io ci sono e sono qui con te e per te”.

F.