Lettera ad Abdallah

Libano/Siria

Caro Abdallah,
sono contento di averti conosciuto nel campo profughi al nord del Libano a pochi chilometri dalla Siria, il Paese in cui sei nato, perché sei un ragazzo in gamba e coraggioso! Il 19 dicembre, quando con gli altri volontari abbiamo pranzato nella tua tenda, mi hai sorpreso e spiazzato. Ho visto che eri triste e quando ho chiesto il perché mi hai risposto che eri triste perché partivo e mi hai detto che avresti sentito molto la mia mancanza.

 

Le tue parole mi hanno obbligato a pensare e voglio comunicarti qualche mia riflessione.
E’ vero che per due mesi siamo stati vicini di tenda e che molte volte siamo stati a pranzo dalla tua famiglia.
Ma è anche vero che ogni mattina, quando ti incontravo, con le pochissime parole che avevo imparato in arabo ti chiedevo come stavi, e niente di più.
Per questo le cose che mi hai detto, quando sono tornato in Italia, mi hanno fatto pensare. Sapevo poco di te e ci mancavano le parole per comunicare, sapevo che giochi bene a calcio ma non sono riuscito a venirti a vedere giocare, così come non sono riuscito a venirti a trovare quando lavoravi a raccogliere le olive, perché quando sono arrivato la stagione stava finendo. Ma ho capito quanto siano profondi i legami che si sono creati con te e con gli altri profughi del campo. Ho capito quanto siano intensi i rapporti che si creano nella condivisione. Ho capito che la nostra presenza così semplice ed anche apparentemente inutile, era importante per voi perché significava condannare l’ingiustizia che subivate e riconoscervi nella vostra dignità.
Quello che dico a te, lo voglio dire a tutti gli amici del campo.
Tu sei fuggito da Aleppo per non morire e nella tua città sono successe cose indicibili e di cui non riusciamo neppure più a vergognarci. Ma sei fuggito anche per non uccidere i tuoi fratelli siriani, per non fare la guerra e per inseguire la pace.
Da tre anni sei costretto a vivere le tue giornate al campo: hai dovuto smettere di studiare. So che avresti voluto fare il medico o l’ingegnere.
Non perdere la speranza Abdallah, non rinunciare ai tuoi progetti. So che da solo forse non ce la potrai fare. Ma nella tristezza del tuo saluto ho letto anche una richiesta quasi disperata di aiuto. Hai voluto dirmi “Perché tu parti ed io devo continuare a stare qui? Portami con te!”.
Da quando sono tornato in Italia mi sto impegnando per questo. Non mi piace fare promesse che non posso mantenere e neppure illudere le persone care, ma lavorerò perché tu, la tua famiglia, le famiglie del campo possano venire in Italia utilizzando la bella possibilità dei “Corridoi Umanitari”.
Grazie Abdallah, grazie amici del campo profughi per l’esperienza bella e faticosa che mi avete regalato, grazie per la forza e la pazienza che avete, grazie per la nonviolenza con cui avete reagito alla violenza, grazie per l’umanità che avete mantenuto e che i vostri persecutori solo grazie a voi forse potranno riscoprire.
Tommaso

P.S. So che anch’io da solo non posso fare molto ma se ci mettiamo insieme possiamo aiutare Abdallah, giovane di 21 anni, e gli altri amici del campo a vivere la vita piena a cui tutti abbiamo diritto.