Le paure dei bambini

L’altra sera noi volontarie siamo rimaste a dormire da sole al campo e il nostro vicino di tenda ha mandato G., la sua figlia più grande, per farci compagnia e non lasciarci dormire da sole: è stata con noi tutta la sera, ad ascoltare i nostri discorsi, anche se parlavamo in italiano e non capiva.

La disponibilità di G. mi stupisce sempre molto, io mi ci affido spesso, quando non so come muovermi o comportarmi perché non parlo bene l'arabo, o quando ci sono troppi bambini da gestire e da sola non so farmi sentire: allora guardo lei, che mi aiuta e che sa che deve usare gli occhi e le mani più che la voce e le parole per parlare con me.
G. ha nove anni.
L’altra sera, dopo un po' che era sdraiata con noi, si è alzata e ci ha chiesto di uscire per andare in bagno: "Ok, puoi usare quello lì", diciamo noi, indicando quello vicino alla strada.
Lei lo guarda e si rigira con occhi seri “lì no, ho paura, lì dietro ci sono i militari”.
Ho ripensato alla razionalità e l’irrazionalità delle paure dei bambini: la paura che nel buio si nascondano i mostri. Mi viene in mente che da bambina anche io avevo paura ad andare nel bagno che dava sul giardino, perché col buio temevo arrivassero le streghe per rapirmi.
La razionalità della mia paura mi diceva che se tornavo in stanza con i miei genitori le streghe avrebbe smesso di esistere.
Quella di G. invece le dice che i militari arrivano davvero, le ricorda di quando mesi fa sono entrati nel campo, sono spuntati dalla strada, da dietro il bagno e hanno portato via gli uomini che dormivano.