Un motivo per andare avanti

Y. è un ragazzo siriano di 30 anni.
Ha tre figli bellissimi, due dei quali ci vengono incontro all'ingresso dell'ospedale insieme alla zia. Quindi entriamo e insieme cerchiamo di capire dove hanno ricoverato il padre.
É in un'ala particolare dell'ospedale: per poterlo visitare bisogna oltrepassare una porta blindata e avere il permesso della guardia che ti apre.
Spieghiamo che siamo un'organizzazione, lasciamo i nostri passaporti e siamo dentro.
La guardia ci accompagna nella camera di Y.: una cella.
Insieme a lui ci sono altre persone ricoverate, cinque, forse sei, ma attraverso la porta che abbiamo davanti, che è tutta bucherellata, si fa fatica a vedere.


Lui si avvicina a noi con una carrozzina perché è talmente magro e debole che non si reggerebbe in piedi.
Ci presentiamo, gli spieghiamo che siamo un'organizzazione di volontari qua in Libano e che siamo a conoscenza della sua situazione.
Gli diciamo anche che fuori dalla porta ci sono i suoi bambini che lo salutano.
Lui piange.
Y. è stato arrestato dall'esercito libanese ormai un anno e mezzo fa perché sprovvisto di documenti e ora è da qualche settimana ricoverato in ospedale perché gli è stato diagnosticato il Morbo di Crohn (malattia infiammatoria cronica dell'intestino).
La detenzione in prigione e la malnutrizione che ne deriva hanno peggiorato la situazione clinica di Y. provocando una carenza di proteine ed enzimi fondamentali per il metabolismo.
Per ristabilire dei livelli sufficienti a scongiurare il pericolo di vita è necessario procurare al più presto un medicinale molto costoso.
La comunicazione però è un po' difficile a causa di questa porta che abbiamo davanti che non ci permette di sentire la sua fievole voce.
È molto stanco, si vede.
Lo salutiamo e la guardia ci accompagna all'uscita dove ci sono i bambini in trepidazione perché sperano di vedere il padre.
Impossibile, non è giorno di visite.
Eppure la guardia li rassicura: Y. sarebbe uscito dalla cella per fare un controllo e sarebbe passato proprio li davanti.
Allora decidiamo di aspettare ancora più emozionati di prima per permettere ai bambini di vedere il padre dopo tanto tempo.
I minuti sembrano eterni e gli occhi sono fissi verso quella porta di ferro sperando che si apra da un momento all'altro.
Ed proprio quando distogliamo lo sguardo che compare Y..
L'emozione che si percepisce nel loro abbraccio e nelle loro lacrime è talmente disarmante che mi devo allontanare.
Non voglio che mi vedano piangere.
La lotta per la sopravvivenza che sta affrontando Y. ha finalmente trovato un senso in quei minuti. La speranza che giorno dopo giorno in carcere svaniva, forse proprio in quel momento è riapparsa, dando nuovamente a Y. un motivo per andare avanti.