Il check-point

E’ qualcosa con cui tutti i volontari, prima o dopo, dovranno confrontarsi: il check-point.

La questione è che in queste due parole ci sono raccolte tante cose: preparazione, speranza, paura, ansia, gioia e adrenalina.
Un controllo che può essere fatto da polizia o militari, che può essere fisso o mobile, trovarsi in un luogo trafficato ma anche non. E’ qualcosa di imprevedibile, che può avere una grande conseguenza sulle persone che accompagniamo.

Non è altro che un controllo dei documenti, ma per chi proviene dalla Siria e di documenti non ne ha, non è qualcosa di banale.

La maggior parte dei check-point erano stati fissati per controllare l’accesso in alcune zone del Paese e tentare di prevenire attacchi terroristici nel momento più caldo del conflitto; alcuni di questi vengono utilizzati tutt’ora come mezzo di sicurezza. Chi viene fermato sprovvisto di un foglio regolare, viene fatto scendere dal mezzo e accompagnato in carcere per qualche giorno (la speranza è che sia solo qualche giorno). In realtà,  non tutti sono coinvolti: i ragazzi, tra i 15 e i 40 circa, sono gli unici a rischiare veramente.

Il confronto con il check-point inizia già al momento della partenza. Come prima cosa, è importante la scelta del mezzo: taxi, service o bus, ognuno ha una percentuale differente di controllo. Un secondo aspetto da considerare sono le persone già a bordo del mezzo pubblico: più uomini sono presenti, più aumenta la possibilità di essere fermati, ma neanche tutte donne è completamente positivo. Poi si procede con l’assegnazione dei posti: oltre alla regola araba non scritta per cui le donne devono stare vicino a donne e così gli uomini, si cerca di far sedere le donne ai finestrini in modo d essere viste subito e rassicurare i militari, e allo stesso tempo noi internazionali vicino alle porte, in modo da poter intervenire in caso di emergenza.

Si parte, con l’ansia che aumenta in modo inversamente proporzionale al diminuire della distanza.

E’ una sensazione condivisa un po’ da tutti, dai ragazzi siriani che accompagniamo e da noi volontari. Di per se noi non avremmo nulla di cui preoccuparci, ma proprio per la scelta che è stata fatta di condividere la vita con queste persone a trecentosessanta gradi, di stare al loro fianco sempre, un sequestro loro equivarrebbe ad una “perdita” anche nostra.

Il check-point si avvicina, delimitato da una serie di barili di petrolio uno in fila all’altro, colorati a bande rosse e bianche che riprendono la bandiera libanese; del filo spinato delimita la zona ed impedisce percorsi alternativi. Al centro della strada, da un gabbiotto di mattoni, si sporge un militare che ci indica con un gesto della mano dove andare: dritto per poter proseguire o destra per l’ispezione.

E sta volta da che parte ci mandano…?

Federico