Senza lasciarsi cadere mai del tutto

Ci sono alcuni momenti in cui l'aria si fa pesante, qui.
In cui l'impatto con le mille sofferenze affatica, riduce le energie.
In questo pezzettino di mondo, in una delle regioni più povere di un Paese minuscolo e controverso, milioni di siriani conducono esistenze a dir poco precarie, con quasi nessuna certezza se non quella di essere in qualche modo sopravvissuti all'inferno e di dover lottare con le unghie e con i denti tutti i giorni, per tenersi stretta la dignità.
Persone che hanno difficoltà e bisogni dai più essenziali ai più rari, persone che con la loro esistenza ci ricordano che il loro dramma non può essere ignorato e che ancora vivono, amano e spesso provano paura.

In mezzo a questo mare di persone ci siamo anche noi, che le incontriamo e le ascoltiamo, e che spesso percepiamo proprio questa paura.
È qualcosa di difficile da definire, questo sentimento.
È umano, fa parte di noi.
A volte salva la vita, se non lo provassimo non agiremmo per metterci al sicuro.
Quando però l'aria diventa pesante, in questo pezzettino di mondo, forse è anche perché si percepisce in qualche modo proprio una parte di questa paura.
A volte è una paura opaca e silenziosa, come una polvere che lentamente si accumula nel fondo dell'anima.
Quando poi diventa consistente spezza, paralizza e fa smettere di credere in qualsiasi cosa che non sia la mera sopravvivenza.
Due giorni fa abbiamo incontrato M., una donna che vive da sola con i suoi figli.
Ha sperato tanto di rivedere suo marito, ma da poco ha ricevuto la notizia ufficiale della sua morte nelle carceri del regime siriano.
Ha il viso stanco e gli occhi tristi, diversi figli, di cui due malati di talassemia, e nemmeno lei gode di buona salute.
Il figlio più piccolo trascorre il tempo giocando con un computerino ad un gioco di guerra, dicendo che vuole imparare a sparare perché quando tornerà in Siria ucciderà chi gli ha portato via il suo papà.
Il vento soffiava nella casa in costruzione dove vivono ed i fiori erano appesi alle pareti, ma la stanza era comunque impolverata dalla sua paura.
La paura di una donna che forse ha perso il coraggio di credere di meritarsi una vita piena di colori, e non solo il grigio del cemento nudo della sua abitazione.
Aveva anche pensato di tornare ad Idlib, in Siria, dove adesso i bombardamenti si fanno sempre più pesanti, ma non vorrebbe viaggiare verso un altro Paese perché è da sola e non vuole perdere le pochissime certezze che ha qui.
A me viene da chiedermi quanto questa donna sia spaventata a causa del dolore che la vita le ha riservato e quanto, invece, abbia smesso di credere che qualcosa di bello possa accadere persino a lei, quanto l'idea di un riscatto le sembri folle ed impensabile.
Magari qualche anno prima non avrebbe mai creduto che la sua vita normale sarebbe stata stravolta dalla guerra, e adesso pensa che non deve aspettarsi più nulla, che deve solo sopravvivere.
O magari invece la speranza è ancora viva in lei e prima o poi le si presenterà di nuovo davanti, come la più dolce delle rivelazioni.
Non posso sicuramente saperlo io che l'ho incontrata una sola volta, che qui vengo in contatto con tante storie tutte diverse e mi ritrovo ogni volta a sorprendermi di come gli esseri umani reagiscano alle situazioni più crudeli ed alle ingiustizie: in modo mai uguale o prevedibile, ma senza lasciarsi cadere mai del tutto.

Quando l'aria diventa pesante, in questo pezzettino di mondo, cerchiamo la bellezza che è come un venticello fresco, ricco di ossigeno nuovo.
Ne si sente il bisogno, è una necessità impellente.
A volte si fatica a riconoscerla, ma lei cresce anche qui: nel caos fragile delle esistenze affaticate, segnate dalla sofferenza e dalla paura, che non si arrendano al destino che altri vorrebbero decidere per loro.

P.