Un breve attimo perfetto

Un sorriso brillante le illumina il volto mentre saltella in preda all'euforia da una parte all'altra della stanza, ora rincorrendo giocosamente una palla, ora fingendosi una maestra severa e noi alunni poco diligenti.
Come se questa stanza si trasformasse e potesse assumere qualsiasi forma nella sua fantasia da bambina.
Un corpicino esile, avvolto da un pigiama giallo acceso, cela in realtà un'energia e una vivacità inesauribili, che si mostrano in maniera particolare per l'emozione della nostra presenza.
Ad un tratto prende il mio quaderno, ci scherza, poi, con fare deciso, abbozza qualche disegno, un cuore, una ragazza, e il suo nome in arabo: “Liubaba Walid Al-Almadi”.
Liubaba è la più piccola della famiglia e della Siria non si ricorda un granché.

Probabilmente ne ha sentito parlare nei racconti del padre e nei telegiornali alla TV, ma la sua eta è ancora troppo tenera per dare valore a queste cose, anche quando “queste cose” sono una guerra disastrosa che ha costretto la sua famiglia a lasciare la propria casa, riponendo i propri sogni e le proprie speranze in un cassetto di incertezze, e le ha tolto un fratello.
Liubaba gioca, scherza, finge e vive a pieno l'ingenuità e la spensieratezza dei suoi 7 anni.
La guerra non si è portata via anche la sua innocenza, il suo sorriso.
Anzi, questo risalta sotto la luce tenue dei lampioni mentre Liubaba corre sulla via del ritorno al campo, e noi a correre e giocare con lei come se la vitalità di questa bambina ci portasse indietro nel tempo, come se la sua felicità diventasse incondizionalmente la nostra e impregnasse l'aria e tutto intorno a noi.
Anche sua madre ride, e il suo volto si è fatto d'improvviso raggiante di un sorriso autentico, incredibilmente simile a quello della figlia.
In questo momento di felicità sospesa, è come se la piccola Liubaba e sua madre potessero dimenticare per alcuni minuti la loro condizione, l'aspra segregazione a cui sono costrette, l'inquietudine, il campo.
Come se il sorriso di questa bambina potesse spazzare via tutte queste ombre intorno, demoni di povertà, fame e discriminazione, che costantemente gravano su di loro come su quasi tutte le famiglie fuggite dalla Siria.
Come se tutto potesse scomparire e non ci trovassimo a far fronte ad una realtà quotidiana meschina che è quella dei rifugiati siriani in Libano, apolidi senza diritti né tutele, che lo Stato libanese considera come persone di una categoria inferiore.
Come se l'amarezza di questa loro “non vita” potesse lasciare improvvisamente spazio ad uno spiraglio di felicità incondizionata, racchiusa e poi sprigionata, dalla risata innocente di una bambina.
È come se Liubaba e sua madre potessero non essere più migranti in fuga, imprigionati in un Paese inospitale che non li vuole ma che allo stesso tempo li stringe fra le sue fauci fameliche costringendoli ad un futuro incerto, ma potessero essere, semplicemente, “felici”.
E la leggerezza della felicità fosse l'unica cosa che conta.
Come se in quel breve attimo perfetto si potesse dare speranza a chi spesso sente la speranza scivolargli via dalle mani, ma ciò nonostante vi si aggrappa con la forza di chi vuole vivere e non si vuole arrendere ad un destino di rassegnazione e dolore.
Per un breve attimo perfetto.
Si, perché poi una volta arrivati al campo, quelle ombre si faranno di nuovo pesantemente incombenti sulla stentata vita quotidiana di queste persone, costrette a faticare giorno per giorno per assicurarsi il minimo indispensabile per sopravvivere, una piatto di zuppa, qualche medicina.

Liubaba fra qualche mese forse riuscirà finalmente a lasciare il Libano, grazie ai Corridoi Umanitari che tanti stanno portando via da quest'inferno di Paese, ma che altrettanti lasciano indietro, soprattutto per la mancanza di appoggio statale a queste operazioni che davvero sono l'unica strada attualmente viabile per risollevare le sorti di migliaia che al momento si trovano a fare i conti con una comunità internazionale troppo immobile e passiva.
Viaggerà insieme alla famiglia verso chissà quale Paese occidentale, sicuramente più capace di darle prospettive rispetto a questa terra arida d'umanità e d'opportunità in cui milioni di profughi sono congelati, asfissiati senza possibilità di far sentire le proprie voci bisognose.
Voci che in gran parte vengono ignorante e silenziate dall'egocentrismo smisurato di tanti Paesi pseudo-liberali che professano democrazia e libertà mentre costruiscono muri alle proprie frontiere.
Perché non si può ascoltare con il volto rivolto altrove, con il paraocchi di chi non vuole esporsi per paura di ripercussioni elettorali.
E ciò che va oltre il proprio ristretto angolo di mondo, che travalica il cosiddetto interesse nazionale, è messo così a tacere, non esiste.
La speranza, per lei e per i migliaia di bambini siriani che si trovano in questo limbo disperato che è il Libano, ma come loro anche tutti coloro che vivono la stessa miseria nei campi Giordani, Greci o Turchi, è di poter vivere di momenti come questi, in nuovi contesti e nuove realtà più accoglienti ed inclusive.
Momenti di felicità senza riserve.
Questa volta senza più nessuna ombra intorno.
Matteo