“Non ho paura”

Seduto dentro la scuola, mi guardo intorno, non ci sono i bambini in questo momento e regna un silenzio strano, non si sente spesso nel campo profughi.
Ieri notte molti tra i piccoli sono rimasti chiusi nelle tende, cittadini libanesi armati sparavano per celebrare le elezioni e nel buio surreale rimbombavano i rumori di kalashnikov ed esplosioni inquietanti.
Nel cielo scuro si proiettavano le pallottole infiammabili, prima comparendo con le scie rosse e successivamente facendo sentire il suono della mitragliata.
Basta un piccolo incidente per causare un dramma e molti uomini sono stati in piedi irrequieti a girare, nessuno si è sognato di uscire.
Um Mohammed di Aleppo tremava per la tensione, nel piccolo garage insieme ai suoi numerosi figli.
Oggi la vita sembra gradualmente riprendere nella norma, dopo la settimana di coprifuoco pre-elettorale in cui i profughi siriani e palestinesi sono rimasti blindati nei loro luoghi, pena l’arresto in fragranza.

Seduto su una sedia di legno mi ritrovo tra me e me, a guardare con un groppo in gola il tetto e il muro della scuola bruciati questo inverno da mano dolosa, probabilmente appartenente a mafie locali che ben conosciamo e che sfruttano i rifugiati. Il legno è annerito e i disegni sui muri sembrano sorridermi nonostante tutto, i puffi e sponjebob hanno un che di rassicurante, li ricordo lì da sempre.
Guardo in alto e in mezzo allo squarcio dell’incendio compare una striscia di inaspettato cielo azzurro che mi fa sussultare, siamo in un luogo fuori dal tempo e dallo spazio, sento dei piccoli passi che risuonano e vedo i bambini avvicinarsi incuriositi dalla mia presenza dentro. Si mettono a correre, a saltare, e a un certo punto anche a spingersi per terra.
In mezzo alla rovina la vita continua a soffiare, le loro risate mi sembrano una sfida a tutto ciò che c’è intorno.
Khaled mi si avvicina con aria di sfida è mi salta al collo, “Hai avuto paura ieri notte?” gli chiedo, “No”, mi risponde sfacciato, “Perché?”, “Non lo so perché, ma non ho paura”.
Mi lascia, sale su di un banco scolastico e si aggrappa a una trave ciondolando, per un attimo ho il flash back di lui per terra in strada questo inverno, dopo essere stato investito da un’auto davanti al campo. Grida disperate, sua mamma che si sente mancare.
I più vulnerabili pagano il prezzo ultimo di questa guerra.
L’inverno prima Amal, una bambina di una famiglia molto povera che conosciamo, qui vicino era caduta nel pozzo di scolo dell’acqua e annegata prima che qualcuno potesse aiutarla. Il corpo immobile era stato posto su di un tavolo, con un velo azzurro sopra. Sensazione di freddo.
Incredibile come molti bambini abbiano capacità di reagire agli urti dell’esistenza, Khaled in particolare, mentre continua ad ondeggiare appeso con aria saccente, sfidando la guerra, la miseria, la distruzione a qualche chilometro da qui.
Si dondola stagliandosi sul cielo azzurro, e non c’è niente che sembra turbarlo, ondeggia e ride, ride e ondeggia.
Sembra un giovane pirata, con i suoi capelli lunghi castani, quasi lo percepisci dire:
“Ancora non ci avete messo a terra, siamo liberi di solcare l’orizzonte”.
Mi giro a guardare altri piccoletti affacciati alla finestra, poi torno con lo sguardo su Khaled,
è sempre lì e sorride.

Alec