Un filo invisibile

Sono in tenda, si sentono le gocce sbattere sul tetto, rimbombano in questo cubo che tutto sente.
Oggi è stata una di quelle giornate in cui mi son sentito affidato.
Una di quelle in cui scivoli verso un materasso, senza alcuna paura né della caduta né della discesa.
Una di quelle dove la vita ti prende a braccetto e ti chiede di seguirla.
Mi son sentito fortunato.
Ahmed il bambino cieco è come una cisterna di insegnamenti, in primis quello della vulnerabilità.
Le sue richieste mi arrivano così necessarie da lasciarmi meravigliato.
Vorrei quasi non smettesse mai di chiedere.
Strano.

Di solito le richieste rompono le p....
Eppure le sue domande sono bianche, sono bisogni lucidi, chiarissimi.
La cena è stata simile, ma a sfondo adulto e politico.
Il nostro ascolto è stato simile, incondizionato.
Le storie di un profugo curdo e di una coppia sunnita-alawita si sono dipanate davanti a noi.
Non potevamo far altro che rimanere seduti, di fronte a loro, a cercar di comprendere anche solo uno spicchio di quella realtà così lontana ma che tenta ogni giorno di farsi acchiappare.
È anche l'intimità domestica di quella stanza ad aver scaldato le parole e le orecchie.
È l'incontro nel suo luogo originale, nella dimora.
Quanta diversità ci divide, eppure siamo legati da un filo invisibile.
Lo sento che si muove in cerchio con noi, ci lega i movimenti, le espressioni.
Mi sento fuori e dentro questo cerchio.
Mi sento fuori e dentro questo popolo.