Il legame dell'uomo con la terra dove è nato

Per i profughi siriani sono passati 8 anni dall'esodo.
In 8 anni nuove vite sono nate, bambini sono cresciuti, sono morti in molti senza la consolazione di farlo sopra la propria terra.
In 8 anni si ha il tempo di legarsi di nuovo.
Sì, si ha il tempo per rialzarsi da un abisso e di dimenticare un Paese morto, fantasma di se stesso.
Eppure in alcuni momenti i ricordi tornano fortissimi.
Come la nostalgia della parte di sé più bella, più ricca, più familiare.
Il paradiso, se il paradiso fosse una proiezione della mente.

È il legame dell'uomo con la terra dove è nato che lo mantiene vivo, attivo ciò per cui è degno essere.
Credo sia difficile descrivere la sensazione finché non sei costretto a farlo.
Non credo esista una nostalgia più profonda, deve esser simile alla morte di un genitore.
Noi condividiamo questa nostalgia, la percepiamo in ogni sillaba del loro discorso.
Ne cogliamo il senso più latente, quello della speranza di tornare.
È il tremolio di un vulcano sopito.
La parola nazione è più bella della parola amore mi dice un amico siriano.
Guardiamo Qusayr da lontano, nei piedi l'istinto di seguire il sentiero che porta a quella pianura dipinta di rosso.
Chi ha segnato quella frontiera laggiù?
Chi ha tracciato quella linea nella nostra mente?
Quell'uomo si immaginava tutto questo?
Si immaginava quella sensazione di vuoto che milioni di siriani si portano oggi nel petto?
Spero che come l'uomo l'ha creata l'uomo la cancelli.
Guardiamo Qusayr da lontano e nel cuore ci sale una promessa, che un giorno quelle macerie saranno case e quelle case saranno abitate e gli abitanti saranno in pace e la pace estinguerà il fuoco di questa sofferenza.

M.