Un incubo

Sono sul letto, ovvero quel materasso di gommapiuma che da quasi un anno è diventato il mio letto, lo stesso tipo su cui le famiglie di qui dormono da 7 anni.
Sono sul letto, dicevo, mi sveglio con la testa frastornata, penso che nella notte ci sono stati molti rumori, credo come al solito. Mi alzo, pronta ad andare nell’altra tenda per iniziare la giornata con la colazione.
Apro la porta della nostra camera e davanti a me trovo uno scenario completamente diverso dalla sera prima: la nostra tenda non c’è più, è stata rasa al suolo da qualche bulldozer e così molte altre del campo, ne sono rimaste pochissime, forse due o tre, nel mezzo della terra piatta e brulla.
Un senso di insicurezza e angoscia mi assale: il mio passaporto, il computer del gruppo, le nostre cose, i nostri libri, hanno demolito e fatto sparire tutto! E la gente? I nostri vicini di tenda, gli altri abitanti del campo? Dove sono andati a rifugiarsi ora che anche la tenda in cui vivevano non c’è più?
Con queste domande in testa apro gli occhi. Per un attimo spero sia stato un incubo, il secondo dopo mi accorgo che è proprio così, ho fatto solo un brutto sogno.

Mi alzo, stavolta davvero, esco dalla tenda e gli altri volontari e volontarie stanno giù preparando la colazione, nel campo intorno a noi non è cambiato niente rispetto alla sera prima, e passo la giornata un po’ più felice del solito, all’idea che non è successo davvero nulla.
Che incubo terribile, non mi era mai accaduto prima, altre volte mi è capitato di sognare ad esempio la guerra (una volta persino un bombardamento nel rifugio di montagna a 2000 metri in cui stavo vivendo e lavorando), ma mai ho sognato il campo in queste condizioni.
Ci rifletto. Penso che quello che ho vissuto nel sogno, quelle sensazioni e quella profonda paura sono emozioni con le quali i nostri amici siriani qui convivono costantemente. In una tenda considerata illegale TU non esisti e in qualsiasi momento la firma di un Generale può decidere che sarà distrutta il mattino dopo.
Questo incubo non è solo frutto della condivisione di emozioni, ma è generato anche da ciò che abbiamo visto succedere in questo periodo nel Paese.
Nella valle della Bekaa abbiamo visto lunghissime file di 40 tende e più distrutte, con poche tracce nel suolo della vita che vi abitava; grossi cumuli di macerie ai confini del campo, abbiamo visto bagni demoliti le cui tubature sono state lasciate a cielo aperto, campi lasciati con due bagni utilizzabili per l’intero numero di abitanti.
Ad Arsal abbiamo sentito così concreta, quasi da poterla toccare con mano, la paura di ciò che accadrà quest’inverno, dopo che tutte le tende in muratura sono state abbattute e non ne è rimasta nemmeno una in struttura solida per le 50.000 persone che ci vivono. In quest’area in inverno nevica molto e già lo scorso anno si è rischiata una tragedia, nonostante le tende fossero solide.
A Nord, non molto distante dal nostro campo, abbiamo visto uomini demolire a colpi di martello i bassi muretti delle loro stesse tende, per la paura di una nuova “visita” dell’esercito con nuovi arresti sommari di ragazzi e adulti.
Nel nostro stesso campo ci siamo svegliate con i soldati che hanno bussato fragorosamente alla porta invitandoci ad uscire, e quella mattina per fortuna non hanno arrestato nessuno, qualcuno ci ha detto di aver sentito un Generale dire di non prendere alcun siriano “perché gli stranieri stanno a guardare”.
Alcuni di loro erano terrorizzati poiché in possesso di un foglio di via che in caso di arresto li porterebbe a un sempre più possibile rimpatrio forzato in Siria. E per loro adesso questo non vuol dire tornare a una casa di cui si sente la nostalgia, bensì significa insicurezza, impotenza e a volte persino il carcere o la sparizione.
Nel mio incubo ci vedo un po’ di tutto questo, prima fra tutte l’insicurezza sempre crescente del campo profughi, questo similluogo che anche noi a volte per sbaglio chiamiamo “casa”.
Da qua, dalla tenda in cui ogni sera spegniamo la luce e chiudiamo gli occhi, è per me fondamentale abbandonarmi a un sogno reale, al lavoro che in molti stiamo facendo per la Proposta di Pace. Non è un progetto rigido e da svolgere per punti, ma è un’idea , l’unica che nello stato attuale di cose può ridare sicurezza e una casa a chi non ha che una tenda e la paura che anche questa venga presto distrutta.

Cip