Si prendono la parola i siriani

Tripoli - 19/12/2019
Nel clima politico incerto e precario in cui verte il Libano e nelle forti manifestazioni di piazza, in cui i suoi abitanti rivendicano condizioni di vita migliori e degne, c’è una componente fondamentale del Paese che, in questo momento, rischia di passare in secondo piano: i profughi siriani.
Stretti tra la morsa della paura delle deportazioni e della quasi totale mancanza di ogni Diritto fondamentale in Libano, dei bombardamenti e della assenza di sicurezza in Siria, anche loro hanno deciso di scendere in strada.
Alle 10 del mattino di giovedì 19 dicembre per la prima volta a Tripoli, circa 50 persone si sono ritrovate davanti agli uffici dell’UNHCR.
Si erano organizzati attraverso un gruppo facebook che si chiama “Fateci uscire dal Libano”, dando vita ad un sit-in e superando la paura, per poter esprimere il loro dolore.
In mano avevano cartelli e foto raffiguranti capi dei governi europei, nel cuore il sogno di essere ascoltati, di incanalare la loro rabbia verso persone o Istituzioni che potessero interessarsi alla loro condizione.

Le loro richieste: essere portati fuori dal Libano, in modo sicuro e legale, attraverso Corridoi Umanitari per un Paese sicuro; un aiuto sanitario concreto e maggiore alle migliaia di malati, che non possono permettersi le cure, alcuni di loro erano presenti alla manifestazione.
Inoltre, chiedevano un’educazione seria per i propri figli, la possibilità di andare all’Università ed avere un lavoro vero: “Che ci permetta di vivere dignitosamente e non solo di sopravvivere a malapena”.
Abu Mohammad era lì con suo figlio, in Siria avevano fatto tanti sacrifici per farlo studiare, finché non è riuscito ad ottenere la laurea in business management, eppure ora in Libano lavora come muratore.
Sanno bene che tornare in Siria è soltanto un sogno lontano, perché la guerra non è ancora finita e le condizioni di sicurezza non esistono; sanno anche che il Paese in cui vivono, e che comunque ringraziano per averli accolti, è in crisi e non vuole, né può, occuparsi di loro.
N. ha 27 anni, vive a Tripoli, è tra i pochi che riesce a frequentare l’Università ed è uno degli organizzatori della protesta. “Fateci uscire dal Libano perché questo non è un Paese sicuro e la gente non riesce a vivere qui. Le condizioni materiali sono drammatiche, dal Diritto di vivere in una casa degna, al Diritto di curarsi. Tantissime persone muoiono alle porte degli ospedali; io ho perso mio padre perché non avevamo i soldi per pagargli le cure di cui aveva bisogno, nessuno è riuscito ad aiutarci in tempo, tanto meno l’UNHCR, e quindi lui è morto, così, dopo essere sopravvissuto alla guerra”.
Si prendono la parola i siriani, in un Paese in cui vengono arrestati e a volte anche deportati solo perché non hanno i soldi e la possibilità di avere i documenti in regola.
Davanti a loro solo una camionetta dei militari ferma, nessuno ha parlato con loro.
Nonostante questo, per lunedì alle ore 13 è prevista un’altra manifestazione, questa volta più grande, secondo gli organizzatori.