Il vuoto

Ricordati sempre che lo sconforto viene ad ondate.
Quando qui c’è la calca, la fila di gente che viene a dirci che non sa cosa mangiare, non sa come nutrire i propri figli, non sa come comprare le medicine per curarli, non sa che farsene di un futuro in questo Paese…
Sono ondate, maree di schiaffi in faccia, partite di pugilato che finiscono con me al tappeto, sdraiata, non faccio in tempo a fare un movimento che ecco un altro gancio e rivedo il vuoto.
Il vuoto.
Parola che mi ritorna spesso in questi giorni in testa.
La vacuità.
Quest’idea può richiamare in noi le sue diverse sfaccettature, Chandra le ha anche dedicato un capitolo nel suo “Il silenzio è cosa viva”.
C’è il vuoto che dà le vertigini, c’è il vuoto dato dall’annullamento di sé, c’è il vuoto di prospettiva di queste persone quando mi guardano e con le parole ci chiedono molto, molto, molto di più di ciò che è nelle nostre possibilità immediate.

Posso arrivare al punto di maledire il fatto che io riesca a capire cosa mi dicono in quell’arabo rapido.
Lo sconforto viene ad ondate e quando piango e sento che qua mi è troppo difficile stare, vado alla ricerca di quel vuoto: non uno di quelli elencati qua sopra, bensì uno diverso, è uno spogliarsi di tutto per lasciare dentro solo ciò che mi ‘nutre’, il vuoto che lascia spazio alle idee positive, quelle che aprono strade, che cercano strategie condivise e costruiscono pace.
Lasciano spazio anche all’ascolto di Mohammad, di Suriya che in lacrime o con insistenza ci chiedono più volte la stessa cosa.
E così dallo sconforto mi ritrovo a dare spazio a questo vuoto, a tentare di innaffiarlo ogni giorno con piccole gocce, in modo che il vuoto inizi ad abitarmi.
“Lo spazio vuoto separa e collega… permette alle persone e agli oggetti di entrare in relazione”.
E in mezzo a questo gran caos di vite e di dolori, la perseveranza prende il timone, la speranza è il vento che spinge.

Cip