Mustaqbal - Futuro

Abbudi è nel prato e corre avanti e indietro da oltre un’ora.
E ride continuamente.
Si fa spingere un po’ dalla sorella con il triciclo, poi corre dietro il pallone, poi si lancia verso lo scivolo.
La sorella ogni tanto si ferma a riprendere il fiato, poi si gira e chiede alla mamma: ma perché non si stanca mai?
Io sono seduta a guardarlo e la sua serenità mi contagia.

È arrivato da una settimana in Italia con i Corridoi Umanitari, insieme alla sua famiglia.
Adesso abita in provincia di Torino e passa le sue giornate a giocherellare e farsi rincorrere nel giardino della sua nuova casa.
Si gode il sole delle belle giornate di questa settimana e osserva curioso tutto ciò che ha intorno.
Fino a qualche giorno fa vivevano in una tenda vicino Tel Abbas.

Sono dovuti fuggire da Hama tre anni fa, quando anche la loro casa è stata colpita dai bombardamenti, e per tre anni hanno vissuto il peso della vita in Libano, con le persecuzioni del Governo, la paura costante di poter essere cacciati da un momento all’altro e la rabbia per aver dovuto lasciare casa loro, con l’orto e gli animali e i parenti.
Poi si è aggiunta la condizione medica grave della sorellina piccola, che ha un anno e già ha dovuto fare 3 operazioni alla testa, per un’idrocefalia curata male.
“Qui c’è futuro” mi dice la mamma ad un certo punto.
Un po’ piange, un po’ ride, un po’ guarda la casa e la paragona a quella che avevano in Siria: c’è il giardino, lo spazio per l’orto, tanti alberi.
Progetta tante cose ed è contenta.

È strano vederli qui, è strano vederli sereni.
È rigenerante.
Ad un certo punto passa un aereo e Abbudi si blocca e fa per nascondersi.
La mamma lo tranquillizza dicendo che qui gli aerei sono buoni, non come in Siria che sganciano le bombe.
“Qui puoi stare tranquillo!” gli dice sorridendo.
Vivendo a Tel Abbas, come volontari, siamo abituati ad essere tartassati da brutte notizie, peggioramenti, situazioni nelle quali bisognerebbe intervenire, e molto spesso noi non abbiamo gli strumenti per farlo.
Stando nel campo profughi si sopportano situazioni di violenza al quale non ci si può abituare, ma diventano parte della quotidianità del gruppo di volontari che è lì.
È costante il senso di impotenza e la palpabilità dell’ingiustizia che vivono i siriani da ormai 9 anni.
Poi, dopo tanto lavoro, tanti pesi, a volte capita il lieto fine.
Vedere le famiglie siriane poter respirare, vedere quanta gente in Italia è pronta ad accoglierli con i Corridoi Umanitari e si impegna gratuitamente per loro, poter finalmente pensare che questa storia, almeno questa, è andata bene… è rigenerante!
Me ne sto qui, a bere tè e ascoltare le prime paroline in italiano che il papà di Abbudi inizia ad imparare.
Mi viene in mente una frase che è scritta nel manifesto di Operazione Colomba: Perché per alcuni, in questo mondo, esistere significa resistere.
Esistere con loro è una delle cose più umane che possiamo fare!