Intervista ad Anwar al-Bunni

Anwar al-Bunni, avvocato siriano per i Diritti Umani nel Processo a Coblenza

 “Una volta, in un discorso in TV, ho detto che io amo questo Paese e gli sono molto grato per avermi accolto, ma non ho nessuna intenzione di integrarmi né di imparare il tedesco. Il Perché? È molto semplice: perché io voglio tornare a casa mia, in Siria”.

Ci ha detto così Anwar al-Bunni, durante un incontro nel suo ufficio di Berlino.
La mia reazione d’istinto sarebbe stata quella di sobbalzare dalla sedia e precipitarmi a tappare le orecchie ad Abdo, che è da poco in Italia ed era lì con noi, di dirgli di non ascoltare perché lui invece la nostra lingua la deve imparare per poter avere una vita decente in Italia, trovare un lavoro ecc, ecc.
Ma dentro di me sapevo benissimo che Anwar aveva ragione, come lo sa anche Abdo, che anche da qui continua a spendersi ogni giorno per la sua gente e per il suo Paese. Perché accogliere queste persone è giusto, ma non basta e forse serve a ben poco se non accogliamo anche le loro lotte e la loro voglia di giustizia e di riscatto.

Il processo di Coblenza, che ha avuto inizio lo scorso 23 Aprile e che vede l’avvocato Anwar al-Bunni fra i protagonisti, porta i crimini ed i criminali della Siria in Europa e mette nero su bianco davanti ad una Corte le sofferenze che raccontano tantissimi siriani, le riconosce, dà loro un peso. E parla anche ad ognuno di noi.
Durante questo periodo di lockdown abbiamo risentito l’avvocato Al Bunni per fare una chiacchierata sul processo da poco iniziato.
Lo abbiamo incontrato un paio di volte, ma la prima doverosa domanda per iniziare questa intervista riguardava la sua storia.

Se dovessi raccontarla tutta, sarebbe una storia lunghissima, ci metterei dei giorni. In breve, ho deciso di diventare avvocato perché i miei fratelli, sorelle e amici erano stati arrestati dal Regime per la loro opinione politica. Così ho deciso di diventare avvocato per difenderli. Non avevo intenzione di diventare un avvocato normale, ma di lavorare nello specifico per i Diritti Umani, per assicurare agli oppositori politici un giusto processo, per lottare contro la violenza inflitta ai prigionieri delle carceri siriane. Dal 2001 tante persone cominciano ad interessarsi alla politica, quando Bashar succede al padre Hafez come Presidente della Siria. Allo stesso tempo, in Siria arriva internet: il popolo siriano riesce a comunicare con il mondo. Moltissime persone furono incarcerate a quel tempo e io cercai di fare giustizia per quelle persone. Anche per questo venni arrestato nel 2006 (e successivamente nel 2011). Nel marzo 2011, quando iniziò la rivoluzione, io ero in carcere e non sarei uscito prima di maggio. Quando uscii, continuai a difendere i manifestanti che avevano partecipato pacificamente alle manifestazioni, ma che erano comunque stati arrestati. Alcune persone che ho difeso in Siria nel 2011, le ho ritrovate qui in Germania, e ora sono testimoni insieme a me nel processo di Coblenza. Fino al 2014 il governo siriano a cercato di arrestarmi molte volte attraverso tre servizi di sicurezza, e per questo ho deciso di lasciare la Siria e scappare in Libano. Alla fine del 2014 sono arrivato in Germania. Ecco, questa in breve è la mia storia, o almeno queste sono le cose più importanti.
Ho iniziato a raccontarvi la mia storia dal momento in cui ho aperto gli occhi. Avevo 18 anni quando arrestarono per la prima volta qualcuno della mia famiglia. Era il 1977. E per la prima volta arrestarono me nel 1978, per una settimana fui detenuto nello stesso distretto di quel mio parente arrestato l’anno prima. Nel maggio 2011, quando sono stato scarcerato, ho cominciato a difendere i Diritti Umani dei manifestanti, ma per fare questo, per proteggerli, ho deciso di non partecipare alle manifestazioni in piazza e nelle strade. Frequentavo alcuni riunioni, insieme ad altri avvocati, per parlare degli arresti. Ma per continuare a difendere le persone in carcere, ho deciso di non scendere in piazza. Non mi hanno potuto arrestare durante le manifestazioni perché non c’ero. Però scrivevo molto, tanti articoli, un piano di giustizia transitiva, un nuovo progetto di legislazione per la Siria del futuro, molti articoli sulla rivoluzione. Molte di queste cose le ho anche pubblicate. Era difficile non essere presente alle manifestazioni, avrei voluto urlare “libertà” insieme a tutti i manifestanti. Ma mi sono dovuto trattenere, perché ero consapevole che il mio ruolo era quello di proteggere le persone, e non tante persone facevano questo lavoro”.

Al Bunni di proteggere le persone non ha mai smesso, ed oggi porta in tribunale quelli che sono stati anche i suoi aguzzini, in un processo storico: 

Il processo di Coblenza non è il primo procedimento legale che giudica crimini di questo tipo commessi in Siria, prima di questo sono stati portati dinanzi alla Corte tedesca altri cinque casi simili ma tutti si limitavano ad indagare la responsabilità dei persecutori che è segreta e non può essere diffusa pubblicamente. Abbiamo portato casi simili anche in Norvegia, Svezia e Austria accusando in totale circa 60 ufficiali di alto rango della sicurezza siriani di crimini contro l’umanità.
Ciò che è particolare di questo processo è che tutto sarà pubblicato, quindi tutti nel mondo sapranno cosa accade realmente in Siria, basandosi non su delle storie riportate, ma su veri e propri fatti portati davanti ad una Corte.
In questo modo il Regime nel suo insieme sarà sotto l’attenzione di tutti, cosa mai accaduta prima; non sono importanti gli anni che dovranno scontare questi ufficiali ma l’attenzione che verrà concentrata sulla situazione in Siria e sulle violazioni del Regime. Finalmente tutti potranno sapere da dove arrivano gli ordini, chi è il responsabile delle uccisioni avvenute durante la detenzione delle persone, chi è responsabile di aver ucciso le richieste dei siriani che desideravano più libertà e democrazia.
Questo processo si terrà in Germania perché i responsabili erano presenti sul territorio tedesco; potrebbe accadere anche in Italia qualora questi criminali vi entrassero. Se un individuo responsabile di aver commesso tali crimini si trova sul territorio di un Paese europeo, sia in veste di turista che come residente, e le autorità hanno le prove dei crimini commessi, possono arrestarlo e aprire un processo. Naturalmente questi criminali non decidono di venire spesso in Europa, ma io e i miei colleghi lavoriamo sulla stesura di fascicoli di prove che possano incriminarli, proprio per essere pronti qualora loro arrivassero”.

Si tratta, dunque, di riconoscere le violazioni sistematiche e strutturali che il Regime siriano ha commesso e commette ancora, in modo che nessuno possa mai dire che non ne era a conoscenza.
La Siria è ancora teatro di guerra, i Paesi confinanti come il Libano, oggi in situazione di enorme crisi, continuano ad essere sovraffollati di siriani che cercano invano un rifugio sicuro e a volte preferiscono tornare a morire in Siria piuttosto che rimanere in un Paese così ostile. 

La comunità internazionale o l’ONU non posso fare nulla per le persone che decidono di tornare in Siria. Spesso vengono arrestate, o addirittura uccise, una volta rientrate in Siria. Non si può fare nulla per chi preferisce questa morte a quella nei campi profughi libanesi. Si perdono quasi sempre le tracce di queste persone: vengono arrestate, messe in carcere oppure vanno a combattere, nessuno sa con certezza. Quello che si può fare è esercitare più pressione sulle autorità Libanesi, poiché i rifugiati siriani in Libano siano considerati come tali, e non come visitatori o addirittura terroristi. Si deve fare pressione sulle istituzioni perché cambino il trattamento che riservano ai profughi siriani e perché gli vengano riconosciuti e tutelati i Diritti Umani fondamentali”.

 La Siria in Europa, invece, è oggetto di propaganda politica e di tifoserie quasi da stadio che ciecamente difendono un Regime militare ed i suoi apparati criminali.
I profughi si ammassano alle frontiere e subiscono violenze ed angherie; quelli che invece sono riusciti ad arrivarci, sono quasi sempre rilegati nel loro ruolo di vittime, nel quale li rinchiudiamo e gli impediamo di uscire.
Lo facciamo tutte le volte che ci rifiutiamo di ascoltarli, anche se i loro racconti sono dolorosi, non solo perché raccontano di tragedie enormi, ma soprattutto perché sconvolgono le nostre convinzioni ed il nostro pensare di sapere da che parte stare, oppure di fare abbastanza.
Anwar al-Bunni fa parte di quel grande gruppo di siriane e siriani che invece un futuro diverso lo stanno preparando già da tempo.

Già nel 2005 ho scritto una bozza per una nuova Costituzione della Siria, ma in quel momento nessuno prendeva in considerazione la stesura di una nuova Costituzione, neppure l’opposizione pensava che fosse necessario. Io ho pubblicato la mia bozza e questo è stato proprio il motivo per cui mi hanno arrestato. Era impensabile che qualcuno nel 2005 potesse pubblicare una proposta per una nuova Costituzione per la Siria. Durante la mia prigionia trascorrevo il tempo cercando sviluppare un progetto per una nuova Siria, comprendendo le leggi, la costituzione, strutture amministrative e pensando a come sarà in futuro. Ovviamente, in prigione non potevo scrivere e tenere con me ciò che avevo prodotto dato che è vietato, quindi l’ho fatto non appena mi hanno rilasciato. Tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012, ho scritto e pubblicato tutti questi articoli: un Documento per una Costituzione Temporanea, un Piano per la Giustizia di Transizione, e anche riguardo a valori superiori alla Costituzione - ossia ai diritti che dovrebbero essere garantiti a tutti i siriani-, a leggi elettorali, a leggi delle organizzazioni e dei partiti”.

Il processo di Coblenza, dunque, è sicuramente un passo molto importante, ma la strada per la giustizia è ancora lunga.

Nel 2016 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha discusso una risoluzione per creare il “Meccanismo Internazionale, imparziale e indipendente di sostegno alle indagini e alla repressione dei crimini commessi in Siria”, per raccogliere prove e informazioni riguardo ai crimini commessi in Siria. Quello che noi possiamo chiedere alle autorità italiane, tedesche, e così via, è di arrivare al passo successivo e di creare una vera Corte come nel caso del Ruanda, invece che solo un meccanismo. Proprio nel mio articolo riguardo la giustizia transitoria spiego come tale Corte dovrebbe essere formata da giudici nazionali siriani ed internazionali e che dovrebbe seguire direttamente gli standard su cui si basa la Corte Penale Internazionale. Questo non si limita a punire ed incarcerare i responsabili, ma va molto oltre perché la giustizia transitiva riguarda il risarcimento per le vittime, la protezione della memoria, la riforma delle leggi per evitare il ripetersi di questi crimini. Inoltre, dobbiamo chiedere all’Assemblea Generale di riconoscere, attraverso la risoluzione “United for Peace”, ciò che è accaduto in Siria all’interno del Capitolo VII della Carta ONU e di utilizzare il potere militare per fermare questi crimini e soprattutto i responsabili che altrimenti non si fermeranno mai. La società civile può concentrarsi su questi due obiettivi e ciò farà pressione sia sul Regime siriano, sia sui responsabili dei crimini, così quando la pressione sarà sufficientemente forte si porrà una fine alla crisi in Siria”.

La strada, dunque, è lunga e va percorsa insieme, sostenendo ed affiancando i protagonisti di questa storia, che parla al medio oriente ed al mondo intero.