Nelle viscere della mia anima

Crescendo ho imparato che i viaggi migliori sono quelli in cui vado a trovare qualcuno.
Anche l’incontro con il Libano è stato così, la prima volta a trovare parenti di amici siriani conosciuti in Italia, e poi dalla seconda è stato un continuo salutare dicendosi “a presto, inshallah”, andarsene con le lacrime sul viso per la nostalgia di chi stavo salutando e tornare ogni volta con un gran sorriso a riabbracciare chi avevo lasciato.
Ogni volta, sempre di più e sempre più spesso da quattro anni.
Stavolta è diverso.
Ogni volta lo è stato un po’, ma stavolta l’ho sentito dentro di me negli ultimi giorni prima di partire.
Lo scorrere del tempo in questi anni mi ha mostrato come le vite delle persone vadano avanti, per quanto io tenga più o meno aperta una finestra sulla loro quotidianità a seconda del periodo.

Ad alcuni le cose più o meno restano invariate, la “solita” vita nella tenda, con il “solito” lavoro che va e che viene.
Ad altri dio o il destino fanno l’ennesimo brutto scherzo, una malattia imprevista, la morte di un caro, l’inizio di un incubo a causa di una persecuzione ingiusta.
Alcuni negli anni si fanno prendere sempre più dalla disperazione, la violenza in famiglia cresce, le ore alla settimana passate a scuola per i bambini diminuiscono, l’impegno nella continua ricerca di lavoretti giornalieri si fa sempre più scostante.
Ci sono altri, e purtroppo non sono molti, che mantengono quella forza che ho incontrato la prima volta, o che me la svelano un giorno qualunque dopo molto tempo dal nostro primo incontro.
Per quali di questi vale la pena continuare a tornare?
Ne vale per gli occhi che versano ogni volta sempre più lacrime?
O per chi dimostra la caparbietà nel profondo della propria anima?
Credo che la risposta non possa dipendere solo dalla grande gioia nel rincontrarsi ogni volta, né dal valore che posso dare al mio ascolto che si carica di parte del dolore dell’altro, né a quei momenti di serendipità, in cui per un istante ti rendi conto che hai davanti un miracolo, qualcuno che è la prova vivente che si possa morire e poi tornare in vita, e che ogni giorno è una possibilità per farlo.
Ne vale la pena per il profondo senso che è dentro di me, nelle viscere della mia anima e di cui sono in ricerca incostante.
O meglio, penso che mi piacerebbe fosse così, ma è la cosa più ardua da fare.
E quindi in questa ricerca con alti e bassi, la risposta temporanea che mi do è che vale la pena vivere tutto questo per poterlo raccontare.

Cip