Siria, 10 anni di conflitto

Siria 15 Marzo 2011, 15 Marzo 2021, 10 anni di conflitto.
Nel mezzo il 30 novembre 2018, una famiglia siriana è entrata nella mia vita.
“La fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare.
Dalla fede in Dio, che ha creato l’universo, le creature e tutti gli esseri umani, uguali per la Sua Misericordia, il credente è chiamato a esprimere questa fratellanza umana, salvaguardando il creato e tutto l’universo e sostenendo ogni persona, specialmente le più bisognose e povere”.
(Documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune).

Fratellanza umana, accoglienza, resto indifferente?
Pur conoscendo pochissimo della Siria, non volevo rimanere indifferente.
Ho capito subito che il Signore con questa accoglienza avrebbe cambiato la mia vita, anche attraverso le mie incapacità e fragilità. L’accoglienza ha inizio la sera di venerdì 30 novembre 2018 e già il sabato successivo nelle sale anspi, ho conosciuto Abdo, i figli Hiba e Mohammed, Najah la nonna, Samar la moglie, in attesa di una bimba, Luna nata il 9 gennaio 2019.
Con l’aiuto del Dott. Jamil Rizqalla, Abdo si è presentato e sono rimasta subito colpita nel sentire che ha iniziato partendo da Padre Paolo Dall’Oglio scomparso da Raqqa nel luglio 2013; gesuita rientrato clandestinamente in Siria, da cui era stato espulso per le critiche al regime di Bashar al Assad, per mediare sul sequestro di due religiosi, da allora solo silenzi. Abdo, mussulmano, parte dall’ammirazione di un gesuita! Abdo, Samar e Najha, scappati da un conflitto internazionale che sembra non avere fine, scappati dal loro amato Paese la Siria, rifugiati, otto anni in un campo profughi, un brutale cambiamento di esistenza.

Quello che è iniziato con proteste pacifiche, decine di migliaia di persone in piazza, contro il regime, chiedevano libertà, dignità, lavoro, riforme… chiamata “la primavera araba” come se dovesse sbocciare una vita nuova, invece no, purtroppo no, si è sviluppata in rivolta su scala nazionale, in una vera guerra civile, dall’inizio del 2012 il conflitto, il massacro è ancora in corso.
La guerra ha portato via tutto, assieme ai beni, alle case, hanno perso il ruolo sociale, le prospettive per un futuro diverso e migliore, per loro e per i loro figli. I siriani sono un popolo sospeso tra la guerra e i campi profughi. Parlando spesso con Abdo e Samar mi è chiaro che non si intraprende quel viaggio per piacere, si lascia la propria terra ma non si rinuncia facilmente alla propria cultura, chi se ne va non vuole perdere la propria dignità, ci è voluto poco per capire che tutti loro sono provati nel corpo e nell’anima. Corpi fragili, con malattie mai curate, (malattie anche importanti e impegnative), desideri e sogni infranti, case, ospedali, chiese, moschee, ponti distrutti… immagini di dolore, di morte, di macerie che rimarranno sempre nei loro occhi e nei loro cuori, ferite che forse non si rimargineranno mai.
Davanti una tazza di tè, Samar mi racconta di lei, della sua vita, strano nonostante l’arabo, tutto mi è chiaro, racconta: prima della guerra vivevo una vita felice con Abdo, una casa, un lavoro, un campo da coltivare, negli occhi impressi campi di albicocchi fioriti, il profumo dei fiori, il sapore dell’acqua fresca, facevamo gite, andavamo a trovare parenti e amici. Tra vicini, cristiani e mussulmani, ci si aiutava nei raccolti. Attraverso fotografie conosco lei, i suoi fratelli, sorelle, Najha giovane bellissima, tavole imbandite con frutta, fiori… Samar in abito da sposa, una principessa con vicino Abdo magrissimo e con i capelli. Vivevo bene, mi dice, non mi mancava nulla… poi bombe, rappresaglie, corpi di giovani manifestanti lasciati ai margini delle strade, nella notte, donne con le mani tra le macerie, corpi trasportati in garage di fortuna per portare soccorso quando possibile. Una guerra orribile.
Bambini che hanno bisogno di sentirsi protetti e al sicuro invece solo guerra orribile, infinita paura con conseguenze disastrose. Due milioni di bambine e bambini tagliati fuori dalla scuola che soffrono la fame. Mentre Samar racconta con lo sguardo lucido, per lei quei bambini hanno un volto, quei giovani sono nipoti, fratelli, amici, io guardo Luna sorridere e mi chiedo la compassione, la condivisione che fine hanno fatto? Di che male è mai capace l’uomo? Continua il suo racconto, una tragedia, una marea umana, scuole bombardate con dentro i bambini, ospedali con dentro i malati, bombe su mercati all’aperto, un Paese distrutto, non c’è più pane, combustibile per scaldarsi, non ci sono cure, medici, infermieri, ma c’è tanta paura.
Mentre Najha rimbocca il bicchiere del tè, Abdo mi dice che la paura è un’arma potente, con la paura si tengono sotto ricatto i familiari che cercano di far qualcosa per i propri cari, perché nel momento in cui avviene una sparizione tu non sai mai quanto puoi spingere su una direzione o su un’altra. Violazioni del Diritto che hanno degli effetti devastanti sui familiari, che rimangono soggiogati dall’attesa e dalla pressione del ricatto e che non sanno come mobilitarsi.
Giovani, racconta, di cui non si hanno notizie da anni, uomini armati fanno irruzione in casa e li portarono via senza spiegazioni.
Sia gli uomini che le donne sono violentati e molestati sessualmente. Le donne sono anche minacciate di stupro di fronte ai propri familiari per estorcere delle “confessioni”.
Donne che si sentono responsabili di essere vittime, lo stupro come arma di guerra, per distruggerle nell’identità e per spezzare la famiglia.
Un incontro, quello con la famiglia di Abdo, che mi mette in discussone, stranieri, rifugiati, profughi, considerati “non persone”, “non soggetti sociali”, la difficoltà nel considerarli risorse da valorizzare, portatori di una cultura da riconoscere e rispettare, non una minaccia all’integrità della nostra cultura.
Grazie a loro ho avuto la fortuna di conoscere tante belle persone, volontari e volontarie, tante le ragazze, giovani che credono nella pace.
I volontari di Operazione Colomba sono giovani competenti, coraggiosi, convinti, che vanno a viver per mesi in zone di conflitto per stare accanto, essere operatori da pace, condividendo con i profughi le loro condizioni invivibili.
Attraverso di loro il Signore ci provoca a non sederci in una vita comoda, ci chiama a fare quanto è possibile per costruire la pace, per diffondere la giustizia, i Diritti e la dignità di ogni uomo.
Purtroppo la pandemia rende difficile la loro presenza in Libano, sono stati in agosto, con grandi difficoltà hanno fatto visita ai campi ma per motivi di igiene e sicurezza, hanno domiciliato presso un convento. Hanno descritto un Libano in ginocchio, con la terribile esplosione del 4 agosto è ripiombato nell’incubo della guerra civile, che da 45 anni covava sotto le macerie ed era stata stoppata nel 1990 con il ritorno ad una convivenza tra religioni e etnie regolata da una rigida spartizione degli incarichi politici e amministrativi. Con l’esplosione a Beirut è andato perso l’85% delle derrate in grano del Paese, stoccate vicino al deposito di esplosivo nel centro della città.
Alberto Capannini mi ricorda: “La crisi è anche incuria, follia, disinteresse per la cosa pubblica”, insieme al fatto che “le richieste di cambiamento da parte di tutta la popolazione libanese rivolte alla classe politica sono state totalmente inascoltate. Una esplosione di cui non è certa la responsabilità ma che sicuro ha provocato morti, migliaia di feriti e trecentomila persone senza casa. Un dramma che aggrava il periodo economico e politico delicato che stava vivendo il Libano, la povertà sale allo stesso ritmo allarmante della disoccupazione. Tanta la rabbia, tante le manifestazioni anti governo”.
Il Libano è il Paese con il più alto numero di profughi pro capite del mondo. I rifugiati siriani, oltre un milione, vivono per lo più nel nord e nell’est, più del 95% di loro non ha documenti e almeno 400mila abitano in tende precarie di nylon e legno. “Una parte di queste famiglie – racconta Capannini – riceve aiuti dalle Nazioni Unite che permettono poco più della sopravvivenza, ma per legge è loro vietato ogni lavoro che non sia fare il bracciante nei campi o il manovale nell’edilizia. Almeno un terzo dei bambini siriani non ha accesso alla scuola regolare e la sanità, privatizzata e a pagamento, è praticamente irraggiungibile. I siriani in Libano vivono una situazione di limbo da ormai 10 anni, se tornano in Siria saranno costretti ad arruolarsi o andare in carcere (gli uomini). In Libano non c’è futuro e il resto del mondo non li vuole: forse più che un limbo sembra un inferno”.
I giovani volontari mi hanno insegnato che su punti essenziali, il rispetto reciproco, dialogo, ascolto è importante tenere il punto, non si può sindacare su tutto, certe “diversità” probabilmente muteranno soprattutto nelle nove generazioni. Noi siamo solo “custodi” di certe vite e non i “padroni” e c’è sempre un margine di scelta che rimane nelle responsabilità personali, questa è la grande sfida della libertà, che i nostri amici hanno faticato, e faticano per conquistare.
Ancora oggi, dopo 10 anni, oltre la metà della popolazione siriana è fuori dalla Siria, o non ha più una casa, distrutto un Paese, una civiltà antichissima e ricca sotto il profilo culturale, umano e spirituale.
Persone sospinte e utilizzate come carne da cannone, private di documenti, privati del Diritto di esistere.
Il rischio che concentrati su noi stessi, concentrati sul dramma coronavirus, rischiamo di dimenticare i drammi a più di 70 anni dalla dichiarazione universale dei Diritti. In Siria come in altre parti del mondo, ci troviamo ad assistere ancora alla costante e ripetuta violazione del Diritto umano fondamentale, la vita.
Pur nella difficoltà della lingua, Abdo continua a parlarmi della Siria, del Libano, del ricorso, ancora oggi, a bombe, rapimenti, una realtà praticata anche prima del 2011, una modalità strutturata di mantenere il potere, assoggettando con metodi violenti coloro che vi si oppongono.
Giovani che spariscono, la paura tiene sotto ricatto i familiari, prigionieri morti o feriti, nascosti seviziati sottoterra, sotto il controllo dei servizi segreti militari e la sistematicità delle torture. Mi racconta che all’inizio i militari riconsegnavano i cadaveri ai parenti poi hanno smesso di farlo, fanno compilare moduli ai parenti con data, la morte per arresto cardiaco, ecc… hanno un documento ma non i cadaveri. Me lo racconta commosso e con nomi di persone della sua famiglia, nipoti, zii, amici.
Mi parla del nord della Siria, una polveriera, difficile da gestire, dove a pagare è la popolazione civile, tra cui donne e bambini, uccise da raid aerei russi e siriani. All’orrore della guerra si aggiunge l’inclemenza della natura, con la morte di bambini per assideramento. Famiglie che vivono in grotte scavate nella terra, mamme che raccolgono erbe di ogni tipo per nutrire bambini e anziani.
Sei milioni di civili vivono nei Paesi limitrofi, tra tendopoli e accampamenti minacciati di essere deportati in Siria, un milione e mezzo nei campi profughi libanesi. Le montagne del Libano a rischio di frane, terre soggette alla colate idriche, famiglie a rischio per via di rifugi fragili tirati su con qualsiasi materiale disponibile, rifugi di scarsissima qualità costruttiva e funzionale, collocati spesso in posti sbagliati, tende improvvisate con teli di plastica, rottami metallici, tempeste di vento alluvioni fanno crollare tutto, lasciando famiglie senza tetto…. aumenta la vulnerabilità da entrambi le parti, alcuni ospedali si sono rifiutati di prestare soccorso alle vittime siriane.
Più volte Abdo mi ha fatto vedere video dei suoi amici e familiari nei campi profughi in libano senza reti fognarie, senza scoli, campi soggetti a piogge torrenziali, inondazioni che si portano via tende con tutto ciò che c’è dentro, il freddo e il gelo di notte peggiorano la situazione. Bambini che vivono nel fango senza educazione alcuna, una situazione triste e drammatica.
La nostra famiglia siriana, la storia che ha vissuto, Sheik Abdo uomo di pace, portavoce del suo popolo, della “Proposta di Pace per la Siria” può aiutarmi ad impegnarmi nella costruzione di progetti di pace.
Dopo più di due anni sento parlare, forse troppo, di “autonomia”, accogliere non ha una scadenza, accogliere non è solo soddisfazione di bisogni. I nostri amici siriani sono persone con i loro desideri, problemi, sogni… accogliere è ascolto, relazione, conoscenza, camminare insieme è ristabilire il concetto che prima di essere migranti, profughi e stranieri, siamo tutti esseri umani.
Vite affaticate e ignorate, che soffrono e hanno visto la morte, affidate a noi per fare un pezzo di strada insieme, per scoprire e far crescere una energia più forte della violenza.
Il rischio che la stanchezza mi indebolisca c’è, tra lockdown, zone rosse, tutto più complicato, ma non impossibile, la famiglia Hsyan, Abdo mi chiede di sentire la Siria come il mio Paese, di sentire la sofferenza di una umanità distrutta che sta perdendo la speranza, mi chiede di tenere vivo anche in lui la sua Siria, il su popolo. Il suo attivismo per la pace, nonostante il periodo, lo mantiene vivo
con corsi online con altri attivisti per la pace di Berlino, occupandosi da lontano del campo di Tel Abbas, dove problemi di ogni genere non mancano mai.
Oggi voglio dire grazie a tutti i volontari di Operazione Colomba, Arianna e Alberto sempre vicini, Paola, Caterina, Giulia, Alessandro grazie per tutto quello che siete e fate.
Il mio grazie ad Abdo, lo Sheik, grazie che ha detto no alla guerra, no alle armi.
Grazie a Samar, attraverso le sue lacrime, i suoi sorrisi, gli abbracci, attraverso gustosi piatti siriani, attraverso una lingua, un Dio diverso dal mio, mi fa sentire amica, sorella, mamma, nonna.
Samar mi chiama quando amiche italiane che hanno condiviso con lei un pezzo di strada in libano vengono a trovarli prima a Santarcangelo ora a San Vito, Veronica, Luisa, Anna, Abdalla, attraverso loro conosco meglio la famiglia Hsyan e mi rallegro nel toccare che tante belle persone fanno la differenza in un mondo dove sembra prevalere l’indifferenza, l’egoismo.
A volte quello di Abdo può sembrare un “sogno”, unire tutte queste forze, unire la speranza un sogno? Forse! Io nel mio piccolo, con le mie incapacità e le mie fragilità posso ameno stargli accanto, perché accogliere non è altro che ascoltare, conoscere e condividere.
Sono poco più di due anni che il Signore ha messo sul mio cammino la fam. Hsyan, prego per Abdo, Samar Hiba, Hamody, la piccola Luna, per Najha, che il Signore non li abbandoni mai.
Siamo nel decimo anno di guerra in Siria, prego affinché dalle ferite di uomini e donne sfiniti, possa ancora nascere una capacità di riscatto e di riconciliazione non solo come assenza di conflitti ma per generare la nuova Siria.