Ogni abbraccio è Paese

Quando è da tanto che non abbracci una persona cara e poi finalmente te la trovi davanti e puoi tornare a farlo, l’emozione è fortissima, ovunque ci si trovi su questa tonda terra.
“Mi accompagnereste a trovare Mariam? Avrei così tanto voglia di vederla… ma non oso andare da sola, ho troppa paura di quel che potrebbe accadere. Ma se ci foste voi, sarebbe diverso…”.
A volte capita che noi volontari ci sorprendiamo amaramente di quanto in un luogo già così pieno di dolore, spesso le relazioni diventino ancora più complicate e conflittuali, come se già le condizioni esterne non bastassero a rendere la vita dura.
Randa è incastrata nello stesso campo profughi da 8 anni. Siriana di Bab Amer, quartiere periferico e sovrappopolato di Homs, Randa ha sulle spalle 3 bambini, il più grande di questi, a seguito di una meningite, è rimasto paralizzato, mentre la quarta figlia, unica femmina, è morta affogata in un tombino del campo profughi qualche anno fa.

Il marito è vivente, ma non oserei dire che è vivo. Accanto a Randa c’è sua mamma, abbastanza anziana e che è l’unico scoglio a cui può aggrapparsi durante le sue giornate. Ma fino a poco tempo fa non era così: nonostante il clima di diffidenza e gelosie che regna nel campo, Randa era riuscita a stringere un’amicizia bellissima con Mariam e suo marito. Questi erano un grande appoggio per lei, come se fossero parte della stessa famiglia.
Mariam si prendeva cura del piccolo malato quando la mamma non c’era e passavano gran parte della giornata insieme, avanti e indietro dalla tenda di una e dell’altra. Nel campo non hai mai tirato una gran bella aria, i soprusi sono molti e le persone qui si sentono particolarmente oppresse, così dopo l’ennesima ingiustizia subita da parte dei proprietari della terra, Mariam e suo marito decidono di andarsene, non ce la fanno più. Trovano posto in un piccolo pollaio adibito ad abitazione e si trasferiscono, anche Randa vuole seguirli e decide di andarsene in un garage anche lei, ma dopo pochi giorni le minacce sono troppo forti, ha paura e lei da sola non può sostenere le spese così alte rispetto a quelle più contenute di una tenda. Decide quindi di tornare a vivere nella tenda che aveva lasciato pochi giorni prima, ma il marito di Mariam non la prende bene. Si sente tradito e dispiaciuto che Randa non riesca a pensare al suo bene e non capendo le sue ragioni sceglie di toglierle il saluto, smettendo di parlarle e imponendo alla famiglia di fare lo stesso.
Questo silenzio va avanti per quasi un anno intero. Noi volontarie nel frattempo abbiamo mantenuto un rapporto con la famiglia di Mariam, che è diventato più profondo di prima. Randa continuiamo a vederla spesso come abbiamo sempre fatto in questi anni. E poi la richiesta: è finito il Ramadan, mese di purificazione, e Randa vuole provare ad andare a trovare Mariam, le manca così tanto. Mandiamo un messaggio al marito di Mariam, la risposta tarda ad arrivare ma… è un sì!
“Sapete che non parlo più con lei… ma per voi che me lo chiedete, vi dico Benvenuti tutti a casa nostra”. Ahmad, il figlio più piccolo di Mariam ci accoglie regalando un mazzo di fiori a Randa e all’amica che l’ha accompagnata.
Ed ecco l’abbraccio. Randa entra timidamente nella loro casa e stringendo a sé Mariam scoppiano entrambe a piangere, silenziosamente. Le due ore successive le passiamo a osservare lentamente sciogliersi la tensione, Mariam sedersi accanto a Randa e le vediamo finalmente tornare a parlare in maniera fitta e sussurrata tra di loro.
Sulla via di casa, chiedo a Randa come sta. “Due giorni fa ho preso una storta e ho il piede gonfissimo, ho passato questi giorni di festa chiusa in tenda ma stamattina ero così contenta che mi è passato il male. E adesso sono felicissima. Grazie di essere venute con me, da sola non sarebbe mai stata la stessa cosa”. Chiusi nella borsa i fiori di Ahmad, da mostrare ai suoi figli.

Cip