Quotidianità notturna

Il campo mi pare un caleidoscopio unico di umanità.
Intanto dell'umanità propria.
Una delle lenti di questa osservazione è la noia.
Noia proveniente dal silenzio della sera e della notte, specie d'inverno.
Specie in queste sere sfigatissime in cui neanche l'operatore telefonico riesce a funzionare come si deve e a garantire la connessione a internet, l'unica (sic) "finestra sul mondo", soprattutto su casa.
Sere e notti in cui il freddo butta tutti dentro, ognuno nella sua tenda ad appallottolarsi sul materasso e sotto le coperte se ci sono, oppure accanto a mamma e papà e alla cucciolata di fratelli e sorelle che ci sono di sicuro.
Chi ce l'ha (non molti, non pochi), per un po' può guardare la tv, poi anche quella annoia ed è meglio spegnerla, non sia mai che tenga svegli i bambini più del necessario.
Comunque nel dubbio, l'elettricità salta tra le undici e mezza e mezzanotte fino al giorno dopo e sceglie lei (l'assenza di) la prossima attività per tutti.
E così, se il freddo spinge sotto la coperta e le viuzze melmose di pioggia e fango del campo si svuotano, viene l'ora del silenzio, in cui neanche gli incontri dei vicini vengono in soccorso a interrompere la monotonia.
Quanto sarà grande questo silenzio senza alternative?
Da qui a Tel Abbas? O da qui ad Halba? Bebnin?
Non so, di sicuro a Tripoli anche a quest'ora ci dev'essere ancora a zonzo qualche alternativa.

Se si è qui nel campo (uno delle decine di campi che ricoprono il Libano come lentiggini) e non si ha nessuno con cui parlare o se non si ha voglia di parlare con nessuno, cosa resta da fare se non addormentarsi e lasciare che un'altra giornata si spenga come la tv, alla stessa ora di sempre o al massimo un po' prima?
Oppure no.
Oggi voglio cercarmi l'alternativa.
E così spezzo la ripetitiva monotonia della sera con un atto rivoluzionario.
Anziché lasciare che il sonno venga fuori, un po' stitico, a riempire il vuoto della mia noia, prendo questo silenzio e lo riempio dei miei pensieri.
Penso ai fatti miei e non miei e basta poco per accorgermi che ce n'è da pensare!
Passano pochi minuti e sono già impegnatissima, qui al buio sotto la mia coperta.
E tra questi pensieri eccone uno che chiede attenzione.
In effetti, non è vero che c'è silenzio.
Adesso è l'una ma in realtà a farci attenzione, ci sono tanti rumori se una si mette ad ascoltarli. Eccole, le mie alternative. Passiamole in rassegna.
La mia compagna che respira accanto a me e si gira e si rigira nel suo sacco a pelo. Non dorme quindi.
Una goccia d'acqua che scende sempre nello stesso punto sulla parete telonata dietro le nostre teste.
Un rivolo di pioggia che dev'essersi accumulato in qualche piega del telo dell'UNHCR che ci fa da muro, e ci metterà ancora un po' a svuotarsi di questo passo, anche se ha smesso di piovere da un bel po'.
Un'altra goccia più chiacchierona che viene dalla stanza-cucina, forse dal rubinetto? No, sarà bene che non sia il rubinetto, sarebbe un bel problema se sgocciolasse così tutta la notte. Questa ipotesi che richiede di alzarsi per andare a controllare è scartata all'unanimità dall'assemblea dei miei pensieri notturni. La goccia chiacchierona è di fuori di sicuro, qualche altro rivolo di pioggia accumulato.
Tonfi felpati regolari sul tetto della tenda che tendono un po' il telone nei punti in cui affondano al passaggio.
Un gatto che passeggia sulle nostre teste.
Ogni tanto un cane che latra, più vicino di quanto vorrei sentirlo, o un branco in lontananza. Non mi risulta ci siano cani domestici (tendomestici?) nel campo e l'idea di cani randagi che ci si aggirano di notte mi ricorda di una storia letta nel romanzo "Shantaram", che mi mette paura.
Cambiamo rumore.
Due voci maschili che sussurrano in una delle tende vicine. C'è sempre qualcuno che si attarda nel rifugio dell'incontro. Vedrai che dev'essere il nostro vicino di una ventina d'anni che fa le ore piccole con qualche amico. Ogni tanto si mette anche a tagliare la legna a mezzanotte, o a cantare canzoni antiche e lamentose di una Siria che non c'è più, in coro con i suoi amici.
Pare che questo suo attivismo notturno non sia ben visto dagli altri vicini.
Dico così per intuito, visto che oggi due vicine ci hanno chiesto se non troviamo il modo di portarcelo in Italia e levarglielo di torno.
D'altra parte, gli scontri generazionali sono tra le cose che hanno diritto di cittadinanza anche nei campi profughi.
E quest'altro? Ah, questo si vorrebbe non sentirlo mai. Spari lontani. Se proprio dobbiamo dirla tutta, smitragliate, mai abbastanza lontane.
Abbiamo saputo dalla nostra informatissima vicina che si tratta di un losco figuro di una delle famiglie criminali della zona che un po' si contendono e un po' si dividono il controllo del territorio.
Cambiamo ancora.
Ed eccone un altro di rumore, uno dei miei preferiti.
Il gallo che canta. E se comincia, fa almeno un paio di assoli. E sta sempre attento a cantare verso l'una di notte, quando magari una pensa di aver preso sonno finalmente.
Quando lo vedo la mattina fra le tende, mi viene voglia di combinargliene qualcuna per ripagarlo del suo sadismo, ma poi penso a una compagna che una volta ha detto che in fondo quel rumore notturno non è che un altro simbolo del fatto che in Libano non riesce a funzionare niente, neanche il canto del gallo, e allora rido.
Che altro ascoltare? Ogni tanto un auto che passa lungo la strada Tel Abbas-Halba. Chissà dove va.
Si muove per lavoro? Beh, di lavoro non se ne trova di giorno, pensa di notte.
Per noia? Può darsi.
Per amore? Ma sì, vediamola così che tanto immaginare è gratis.