Sette anni dopo

Dopo 7 anni ritorno in Libano, in visita al progetto.
In questi anni sono avvenute tante cose: una pandemia (mondiale), due figli (miei), una rivoluzione (dei libanesi), il default economico (del Libano) e l'esplosione (del porto di Beirut).
Torno diversa in un Paese che non è più lo stesso.
Arrivo con un miscuglio confuso di emozioni che vanno dall'apprensione alla gioia, ma senza il tempo per poterle digerire.
Ho 4 giorni da sfruttare al meglio e così vado subito nella nostra tenda, tra le tende.
Il campo è decisamente molto più "bello" di quando c'ero io.
Le tende molto più dignitose, alcune col giardinetto e i fiori, (ho addirittura visto un tavolo con le sedie!).
Adesso hanno costruito piccoli muretti e recinti che garantiscono una maggiore riservatezza e dentro molte tende c'è l'acqua corrente.
È tutto più ordinato certamente, ma allo stesso tempo paurosamente più permanente.
Sono passati 7 anni e la situazione emergenziale che ho lasciato si è strutturata sempre di più.

Certo, lo sapevo bene, perché ho continuato a seguire il progetto da lontano settimana dopo settimana, ma vederlo qui davanti a me, è una cosa diversa.
Ritrovo famiglie intere ancora nella stessa tenda, poco più grande di una camera, sempre di plastica e cartone, sempre senza lavoro, sempre senza scuola e adesso definitivamente senza speranza che cambierà qualcosa.
Le tende sono più silenziose.
Non ci sono più le televisioni sempre accese, sintonizzate su improbabili soap opere turche. L'elettricità costa così tanto che non se lo possono permettere.
La vita invece, quella, non smette di crescere, mai.
Bimbetti nuovi spuntano dai tendoni bianchi, schizzano per il campo correndo e si infilano dentro la nostra tenda schiamazzando.
Questo non è cambiato. È sempre stato così.
"Chi sei? Come ti chiami? Sei nuova? Quanto ti fermi? Mi prendi in braccio? Ci fai giocare?".
Sento che adesso il mio sguardo è diverso.
Li vedo e penso ai miei bimbi, a casa al sicuro col papà.
Penso a quante attenzioni ho per ogni loro bisogno: l'inserimento a scuola, un piedino un po' storto, un brutto sogno... qui spesso i loro genitori non hanno la testa nemmeno per accorgersi di sé stessi. Si portano dietro terribili traumi di una guerra crudele e violenta e la desolazione di speranze mancate.
Una bimba mi guarda negli occhi e sorride: "ma tu li picchi i tuoi bambini?".
Mi si stringe il cuore.
So che la sua mamma non sta bene, ma basta guardare come è sporca e scarmigliata lei per capire che in casa non ce la fanno a stare dietro a figli.
Che dire? Posso solo rispondere che le mamme amano tanto, tantissimo i loro bambini ma quando sono molto stanche o molti tristi a volte sbagliano e sbaglio anche io.

E intanto la nostra porta si chiude e si apre al ritmo di nocche che bussano, spesso.
È bello vedere la porta che si apre all'ascolto di questi poveri.
Ogni tanto diamo risposte, ogni tanto diamo consigli, a volte soluzioni, altre accompagniamo, altre si ascolta e basta… si accoglie il loro vissuto, si "cum-pate" insieme a loro per la situazione in cui vivono, e si è lì, con loro.
Non è una cosa banale: chiunque entri viene ascoltato per il tempo necessario, per tutto il tempo di cui ha bisogno.
Mi chiedo in quale altro posto, anche solo nella mia città, una persona che ha bisogno va, bussa e sa che si può sedere a parlare?
Solitamente siamo così efficienti che bisogna chiedere un appuntamento e avere un "tempo" prestabilito e magari pure un argomento chiaro (non tutti gli argomenti in tutti i posti).

I giorni volano.
Quando chiamo a casa mi sembrano lunghissimi: ma quando è che riabbraccio i bimbi?!
Quando mi guardo attorno, mi sembrano volati: ma davvero devo già ripartire?

La mia ultima notte non riesco a dormire.
In questi giorni ci sono state le elezioni e qualcuno pensa di festeggiare sparando per aria. Smitragliando per aria. Vanno avanti parecchio questi spari.
Ci tiene sveglio il rumore e soprattutto la paura che i proiettili vaganti possano colpire qualcuno.
Un proiettile arriva nella finestra della nostra vicina libanese, per fortuna senza far danni (fisici s'intende!).
Quando finalmente si acquietano le armi, un topino fa visita alla nostra dispensa e il suo sgranocchiare ci tiene sveglie ancora per un po'.
Il timore che per queste elezioni possano scoppiare dei disordini per le strade serpeggia tra i libanesi.
Allora io gioco d'anticipo e mi faccio portare in aeroporto per tempo.
Diciamo parecchio per tempo… arrivo circa 12 ore prima.
Ma non importa, almeno sono tranquilla.
Nella mia lunga attesa vedo passare un gruppo di siriani in partenza per un Corridoio Umanitario. Pochi eletti vestiti a festa che sognano un futuro migliore.
Pochi, in mezzo ai tanti che restano, che dovranno rimboccarsi le maniche, accettare nuove regole, nuove culture, nuove abitudini nella speranza che i figli possano scegliere del loro futuro in libertà.

Parto con questi sorrisi fiduciosi nel cuore consapevole che non dovrebbe essere un lusso per pochi.