Grazie

Le giornate qui in Libano sono scandite da visite e incontri.
Ogni incontro è un bicchiere di tè, mate, caffè... ogni bicchiere è una storia.
Mi viene in mente un detto yiddish "talvolta abbiamo bisogno più di una storia che di cibo".
Anche se certamente il cibo serve, e in quest’ultimo periodo serve più che mai.
Trovo che ci sia qualcosa di depurativo nei racconti di queste donne che, a volte proprio a fiumi, ci riversano le loro vicissitudini, prima e dopo la guerra.
O meglio prima con la guerra ai missili del regime e ora con la guerra alla miseria.
Forse narrare, ripetere, aggiustare la storia, ripeterla ancora è un modo per trovare un senso, per darsi un senso e tenere insieme i pezzi. Forse.
Il nostro amico Sheik Abdo dice che nel peace building le relazioni sono fondamentali.
"Possiamo dire che sono più importanti del cibo. Durante una guerra se hai cibo e acqua ma nessuna relazione non puoi sopravvivere".
Io qui lo sento che le relazioni sono davvero fondamentali. Sento tanta ricchezza in questi incontri, che mi toccano nel profondo e che sono quello che dà un senso profondo alla vita qui.

Una delle mie prime visite in questo viaggio è stata ad Umm rabia, che è la mamma di Rabia (ovviamente), un bimbetto di 8 anni paraplegico che muove solo gli occhi e sorride.
Lei si spupazza il suo bimbo, lo coccola, lo bacia, fa gli scherzi.
È durissima prendersi cura di lui, e lei ha anche altri 3 figli.
Sarebbe più semplice "lasciarlo andare".
Ma lei ci chiama sempre appena lo vede stanco, quando non mangia, quando ha la febbre.
La loro vita è fatta di corse in clinica, ricerche di soldi infinite, visite su visite.
Ma per lei Rabia è il suo tesoro.
Non importa che non abbia futuro (è ancora vivo per miracolo), non importa se i suoi soldi e le sue energie sono quasi interamente risucchiate da lui.
Lei non fa quello che fa col suo bimbo perché sublima questa sofferenza, perché razionalmente ha fatto una scelta di servizio o perché ideologicamente ha scelto la vita.
Lo fa solo davvero per amore, spontaneo .
Perché è la sua mamma, e lui è il suo bimbo, prezioso, come ogni figlio.
Guardandola io imparo la lezione che la vita va amata, accolta e accompagnata solo per il fatto che c'è, così com’è.

La mia ultima visita prima di ripartire è invece a Nour, che ha quasi la mia età.
Nour è felice, felice, felice: di vedermi, di essere finalmente mamma, di avere la SUA famiglia, felice che il marito abbia un lavoro.
Non importa se vive in uno sgabuzzino grande quanto la mia cucina ma contente salotto, bagno, cucina e camera da letto per 5 persone, senza finestre, nemmeno una.
Non importa se vivono in un posto isolato, sono lì solo perché lì c'è lavoro e non importa che il lavoro sia duro senza diritti e mal pagato.
Lei è grata per quello che ha.
Guardandola penso che si può accogliere la vita guardando quello che c'è di buono e ricco o guardando quello che manca.
Nour ha scelto di guardare musab, il suo piccolo appena nato e la sua maternità tanto attesa prima di tutto.

Guardo queste donne, le ascolto, le accompagno.
Sono grata che mi considerino amica nonostante la lontananza e la diversità.
Sono grata di poter imparare da queste relazioni e arricchire a vicenda le nostre vite con il nostro incontro.