La scelta

19/01/2023
“Casa mia è la tenda, non è la Siria” ci dice una bambina del campo.
I giorni scorrono veloci. Le ultime situazioni che si sono presentate ci hanno messi alla prova e ci hanno mostrato l’impatto che abbiamo qui. Ti rendi conto della difficoltà di compiere delle scelte che per forza di cose avranno conseguenze positive per alcuni e inesorabilmente negative per altri.
Dare rifugio ad una mamma con tre bambini, lasciare solo un padre con un piccolo innocente.
La scelta è privilegio per noi.
Per i siriani a volte la scelta è tra soccombere e sopravvivere... scegliere di vivere una vita che ne valga la pena, la maggior parte delle volte, non è tra le loro opzioni.
Del vivere la vita a volte sembra rimanere solo lo stare in vita, in una condizione di non-vita.
Scegliere di tentare la via del mare, scegliere di abbandonare un bambino in tenda e salvarne tre, scegliere di affidarsi ad uno straniero, un estraneo, scegliere di aspettare.

Fa tutto parte del limbo dei profughi, tutto per non far spegnere quel barlume di speranza che con una resilienza enorme i siriani riescono a conservare.
Essere qui vuol dire trasmettere agli ultimi che non esistono ultimi, che vivono nell’ingiustizia e che qualcuno ha questa consapevolezza, e glielo si esprime tramite la presenza.
Ora mi trovo su una collina, a pochi chilometri dalla Siria.
È coperta da una cappa nera che aleggia sulle sue terre, quasi a volerla tenere intrappolata.
Terre che potrebbero essere fertili e vive, invece hanno subito l’impatto dell’uomo e sono diventate terreno di sangue; confini invisibili se non fosse per i check point.
La vita di milioni di persone è passata e continuerà a passare per un check point.
Raccogliere le testimonianze di chi quei confini li ha vissuti non è poco, è dare voce all’ingiustizia, è scegliere l’impatto che si vuole avere.
Una collina, un confine, un check-point.

Debora