Caccia all’uomo

K. si porta la mano al petto. Le sue dita rimarranno segnate per sempre dalle martellate ricevute durante i nove anni di prigione in Siria.
Sospira cercando di non darlo a vedere.
Il check-point ormai è alle spalle mentre torna a casa in bus.
Durante questo periodo di deportazioni sommarie, aggravatosi nell’ultimo mese, è difficile capire a quanti, allo stesso check-point, è stata invece riservata una sorte diversa.
Il padre di A., 23 anni, è venuto a sapere che suo figlio è stato fermato proprio lì solo perché informato da chi l’ha riconosciuto nella località al confine con la Siria durante la deportazione.
Era con una trentina di persone. Di A. non si è più saputo nulla per due giorni. Poi la notizia.
È in prigione nel Paese da cui è andato via quando aveva 14 anni.
“Non lo possono prendere per la leva militare obbligatoria perché è l’unico figlio maschio. Dovrebbero rilasciarlo, ma chissà che gli hanno fatto. Se gli hanno chiesto dov’è la sua famiglia, dovremo andare via di qua”.
Le deportazione ci sono sempre state, rispettando una qualche procedura che rispondeva alle esigenze della “sicurezza pubblica”.
Ma ora si tratta di veri e propri rastrellamenti arbitrari e ingiustificati dall’effetto immediato.
H. era uscito al mattino presto senza documenti.
“C’è un fattore che arriva all’alba e porta il laban (yogurt) fresco”.
I soldati l’hanno fermato mentre camminava vicino casa sua e l’hanno portato via.


Hanno deciso di fargli pagare caro quell’atto paterno e affettuoso nei confronti della moglie e dei figli che compie prima di andare a lavorare.
Poche ore dopo si è ritrovato al confine con altre 58 persone.
Ha dovuto pagare 300$ tra il riscatto ai soldati e il prezzo dei trafficanti per tornare in Libano.
Una caccia all’uomo che semina il panico tra le famiglie e si ritorce contro tutti.
Le strade deserte, svuotate dai siriani che non le affollano più per paura di spostarsi e andare a lavorare, sono l’amaro contrappasso per gli autisti locali di bus che si lamentano perché così non c’è lavoro.
L’immediata consapevolezza che qualcuno ha deciso che è tempo di tornare a giocare la carta dei rifugiati sul tavolo politico. E che quella carta può costare la tua vita.
La strada che porta alla conferenza di giugno a Bruxelles dei donatori del Lebanon Crisis Response Plan è lastricata anche di Siriani deportati dal Libano in Siria.