Mio figlio sa nuotare

Operazione Colomba, gli anni in Libano, i Corridoi Umanitari e la solidarietà in questi anni hanno insegnato molto e aperto tante strade.
Mi hanno insegnato un modo unico di stare nelle situazioni e a quali situazioni dare spazio.
Ho visto un mondo di tragedie causate dalla violenza umana e la solidarietà e la vicinanza che si insinua in queste.
Venti giorni fa sento di un naufragio grosso, partiti dalla Libia in 750 e sopravvissuti in un centinaio, un centinaio di corpi ritrovati e gli altri… dispersi.
Poco dopo parlo con un amico, arrivato con i Corridoi dal Libano anni fa: suo cugino Mohamad, giovane di 24 anni, era lì sopra.
È tra coloro di cui non si hanno notizie.
Diversi amici si muovono e uno di loro accompagna il parente del disperso in Grecia a cercare notizie del cugino.
Lì, con i volontari di Operazione Colombe in Grecia, si scambiano informazioni, si ascoltano e cercano di trovare più strade possibili per capire il da farsi.
Nel frattempo sono arrivata in Libano e capiamo che i genitori di Mohamad sono qua, a un paio d’ore di auto da dove viviamo.
Sono gli zii di un amico, i genitori di un desaparecido nel confine più mortale del mondo, profughi in un Paese che li ospita a fatica, mentre nella loro Patria non possono ancora tornare.
La Colomba è quella spinta che davanti a un dolore non ti fa fuggire ma ti sussurra: avvicinati, prova a sentirne un pezzetto anche piccolo di quello che sentono loro, non fuggire anche se scotta e anche se non hai una risposta.


Andiamo a trovarli e come tipico di questo luogo ci accolgono senza chiedere chi sei e cosa vuoi.
Raccontiamo della lunga amicizia con l’amico che è a Roma, del gruppo che da anni è qui in Libano e del gruppo che da alcuni anni è anche in Grecia.
Nada ha dei bei panni rosa e bianchi, ma lo sguardo è quello di una madre in lutto.
Non indossa gli abiti del lutto, perché non ha visto nessun corpo, non ha fatto alcun rito di saluto al figlio che è tuttora disperso.
Non si danno pace, dopo 3 settimane, dopo un sopravvissuto che dice di averlo visto cadere in acqua, dopo nessun’altra notizia.
“Deve essere in qualche caserma, o prigione, o magari è in ospedale e ancora non l’hanno trovato”.
Diciamo loro che se fosse in prigione, il suo nome sarebbe già uscito fuori.
Con i vari familiari parliamo di tante altre cose, Libano, Siria, Europa e Paesi Arabi, famiglie, abitudini e soprannomi.
Ma Nada qualsiasi cosa dica, ha a che vedere con il figlio.
“Voleva andare via mare da qui, ma non glielo abbiamo permesso. Allora ci ha convinti di dargli il permesso di andare legalmente in Libia, per lavorare e aiutarci da lì con qualche soldo. È stato là 9 mesi, ha avvisato solo i suoi fratelli e sorelle che sarebbe partito per mare a giugno. Qua più o meno lavorava, ma aveva aspirazioni che andavano oltre il sopravvivere e che in Libano non poteva soddisfare. Gli piaceva così tanto il narghilé che persino sulla costa prima della partenza se ne è portato uno da fumare. Che Dio me lo ridia indietro, sano e in salute. Dio è Misericordioso. Mio figlio sa nuotare”.
Mi passano per la mente le facce delle persone che salgono una ad una a bordo di una nave di Ricerca e Salvataggio, persone che nell’aprile 2022 sono sopravvissute a un naufragio mentre altri loro amici e familiari sono morti annegati, vorrei dire alla famiglia, che ho ora davanti, che in quella situazione saper nuotare non sempre può salvare la vita, ma taccio.
“Tantissime volte siamo andati al mare insieme, si divertiva nell’acqua con i fratelli”.
La sorella sottovoce mi dice: “Vedi mio papà che sta facendo un sacco di battute? Sai ieri cosa ha detto? Ha elencato tutti i nomi dei miei fratelli, anche il mio, e poi ha chiesto a Dio di prenderci tutti ma di dargli indietro Mohamad. Capisci quanto lo amano?”.
No, non lo capisco, forse lo intuisco, così come intuisco cosa voglia dire non avere mai un corpo su cui piangere.
Tanti siriani hanno vissuto questo dolore causato dalle prigioni del regime, che hanno ingoiato nel buio migliaia di corpi senza mai ridarli ai loro cari.
Per alcuni dei sopravvissuti alle prigioni, ora ci pensa anche il mare a inghiottire senza più restituire.
Abbiamo ascoltato, ci siamo abbracciati, abbiamo una foto insieme per ricordarci questo incontro, che per noi e per i nostri amici coinvolti in questa storia ha un valore che non si può contare.

C.