Con la chiarezza e la fermezza che solo la verità può avere

Quando andiamo a casa di S. e la sua famiglia, ormai l'unico paesaggio che abbiamo davanti è una landa grigia. Piove ininterrottamente da tre giorni.
Siamo in visita da questa famiglia per avere aggiornamenti sulle condizioni di salute del padre che ha un problema agli occhi e della madre che è in cura per un tumore al seno.
A breve, infatti, verrà in Libano il dottore italiano e vorremmo avere tutto pronto affinché li veda.
Hanno 5 figli, ma la loro casa è sempre piena di persone. La classica famiglia allargata, più nuclei che vivono sullo stesso pianerottolo, ma che condividono molto di più.
Oggi, però, la casa è stranamente silenziosa, quasi vuota. Appena arriviamo ci fanno accomodare, ci servono il mate e lo accompagnano con le arachidi. È la seconda volta che li vengo a trovare e sanno già quanto mi piaccia fumare il narghilè.
È lì, già pronto, per il nostro arrivo.
Dopo i primi convenevoli e gli aggiornamenti, la conversazione ha preso tutt'altra piega.
Infatti, senza domande specifiche, ma come se fosse stato il momento a chiamare quelle memorie, S. ha cominciato a raccontare di quando era in Siria, di come era stato preso perché disertore e messo in prigione.


Senza dramma, ma con la chiarezza e la fermezza che solo la verità può avere, ci ha raccontato cosa succedeva in carcere, come venivano picchiati, le torture a cui lui - come molti altri che abbiamo incontrato - era stato sottoposto, tracciando con le dita sul suo corpo la mappa di tutte le cicatrici: quelle della corda che gli legava le mani, quelle delle bruciature delle sigarette che i militari gli hanno spento addosso, quella enorme del proiettile che è entrato dalla coscia ed è uscito in mille pezzi dall'altro lato.
Tutti noi, anche due delle sue figlie, abbiamo continuato a seguire il flusso dei suoi ricordi mangiando noccioline e rompendo con i denti i semi di girasole, senza fare più rumore del necessario, per non perderci nemmeno una parola.
Ad un certo punto ho avuto bisogno di prendere fiato e ho iniziato a guardare fuori dalla finestra. Guardavo la pioggia e tutta quell'acqua. Non acqua che pulisce, che trascina con sé le impurità, ma acqua che ristagna, in cui tutto rimane così com'è. E persino la terra sotto il suo peso si affossa, viene meno. In quel cielo grigio e uguale a se stesso, nulla si muoveva.
Più volte ho sovrapposto i racconti al paesaggio e il paesaggio al brontolio dei miei pensieri. Il flusso di parole e vicende continuava ad essere calmo e fermo. Si è interrotto solo per un momento, quando anche il suo tono di voce è cambiato.
"Questo è quello che è successo in carcere. Ma davvero, il giorno in cui sono uscito e ho finalmente guardato il sole, ho sentito il vento e visto il paesaggio, mi son detto: Wallah, la vita è bella... la vita è bella, anjad".

Qui spesso davanti ai problemi per cui non si riesce a trovare soluzione si dice: "Allah Karim".
"Dio è generoso".
Io non so davvero se avrei scelto questo aggettivo, ma so che - dopo tutto questo - posso soltanto fidarmi.

F.