Ci siamo incontrati, ascoltati e portati nel cuore.

12 ore di pullman, un treno e autobus.
Un viaggio impegnativo ma ne vale la pena perché mi porta in Francia, per un incontro che avrei creduto impossibile qualche anno fa.
È arrivata una famiglia siriana dal Libano con i Corridoi Umanitari.
Sembra un evento da poco, detto così.
Ne arrivato tante di famiglie, per alcuni persino troppe.
Eppure che è un evento lo sentiamo bene io e Caterina, l'altra volontaria che è qui con me (a dire il vero io sono con lei, visto che non ricordo più come si parla né arabo né francese, ma vabbè).
Lo vediamo negli occhi pieni di lacrime che ci accolgono.
Nei sorrisi che ci abbracciano tutte.
Nei volontari che ci scrivono e chiamano per vedere/sapere/salutare.
E, sì, anche nei corpi finalmente fieramente pasciuti!
C'è futuro ora.
Per i figli che possono fare i bambini lontani da fabbriche di caramelle o raccolte di patate.
C'è un orizzonte in cui le fatiche sono "solo" quelle di farsi conoscere, accogliere, accettare e imparare una lingua che ha dei suoni sconosciuti.
Non ci sono raid notturni, non c'è la corsa forsennata a racimolare soldi ogni mese, non ci sono i ratti nella tenda e acqua che entra dove si dorme, quando piove.


Ci sono cure adeguate per la scabbia, per le disfunzioni ormonali, per le bronchiti e per alleviare i dolori che finora si potevano solo sopportare.
Finalmente si respira.
Il prezzo di questo futuro è lo strappo dalle radici e dai legami.
Uno in Canada, una in Iraq, altri ancora in Libano; la diaspora dei fratelli e delle sorelle sparsi per il mondo e bambini che non ricorderanno mai il loro Paese.
Quale poi?
Il Libano, dove non sono mai stati cittadini?
La Siria ormai rasa al suolo, che loro non hanno mai visto?
Apolidi che dovranno conquistarsi da soli un'identità nuova e inventata su misura.
Ma almeno adesso all'orizzonte si vede qualcosa oltre le fatiche e il dolore.
Una prospettiva. Una speranza.

Questo mio viaggio è iniziato molto prima del bus e del treno.
Da 15 anni sono in viaggio con "la Colomba", Corpo Nonviolento di Pace, che mi ha portato a incontrare questa famiglia per la prima volta 10 anni fa.
E in questo lungo tempo a volte mi sono chiesta, e torno a chiedermi, se quello che facciamo conta davvero qualcosa in questo mondo.
Mi viene il dubbio che forse ce la stiamo solo raccontando, per non soccombere sotto il senso di impotenza, ma che in realtà non cambiamo nulla.
Poi guardo loro 4 e mi salgono nel cuore una gran commozione e tenerezza.
Perché se sono qui è grazie a tanti piccoli pezzi che, come il mio, da soli sembravano non contare nulla, ma insieme hanno cambiato il corso della storia.
Forse non della Storia, ma della loro sicuramente.
Li abbiamo incontrati tanti anni fa, con altri due figli che non sono più tra noi, in una tenda senza nemmeno il pavimento e il bagno.
Ci siamo incontrati, ascoltati e portati nel cuore.
Poi li abbiamo fatti conoscere ai tanti altri volontari e volontarie che si sono alternati in Libano in questo lungo tempo, senza i quali il progetto avrebbe chiuso.
Senza i quali oggi non avremmo potuto affiancarli, segnalarli per i Corridoi, accompagnarli in ambasciata e infine qui.
È una storia collettiva. La nostra e la loro.
Perché questa possibilità non è stata donata loro dall'alto, ma se la sono conquistata lottando contro le paure, contro le resistenze affettive e contro la folle burocrazia che li ingabbiava.
Sarebbe stato più semplice arrendersi agli ostacoli e restare, continuando a maledire Dio e il mondo perché tutto è difficile e nulla cambia mai.
Ma hanno sfidato tutto lo sfidabile per avere la forza di essere oggi in una paesino di 2000 abitanti dove non ci sono altri stranieri, di cui non capiscono usi, costumi e lingua, ma a cui si affidano, affamati di vita, di bellezza e di speranza.
Da qualche parte si dice "Chi salva una vita salva il mondo intero".
Sarà vero?
Forse no, forse salviamo solo le nostre anime, dalla perdita di umanità e di speranza.
Ma in fin dei conti, fosse anche solo per questo, sarebbe poi poco?

Agnese