Settembre 2014

SITUAZIONE ATTUALE

> Siria:
Sono iniziati i bombardamenti della coalizione arabo-occidentale contro l’Isis (che attualmente si fa chiamare solamente IS, ovvero Stato Islamico), concentrati soprattutto nell’area frontaliera tra Iraq e Siria. In risposta ai bombardamenti il gruppo Qaedista di Al Nusra ha dichiarato ufficialmente che da adesso combatterà al fianco dell'Isis. Aleppo rimane una zona contesa tra i ribelli anti-regime e le forze lealiste sostenute da sciiti libanesi di Hezbollah.
La città curda di Kobane rimane sotto assedio dai miliziani dell'Isis, che non arretrano nemmeno sotto il fuoco delle bombe americane.
Anche il regime ha proseguito a bombardare le roccaforti della rivolta nelle regioni di Hama e Homs. In queste aree sono avvenute manifestazioni di protesta contro la coalizione occidentale e Obama. Si e' protestato contro i bombardamenti americani che hanno causato vittime civili, inneggiando allo Stato Islamico. Sempre nella citta' di Homs, per la prima volta dall'inizio della rivoluzione siriana, gli stessi alawiti hanno organizzato manifestazioni contro il regime protestando in seguito a bombardamenti che hanno ucciso molti civili tra cui decine di bambini.

> Libano:
L'Isis ha ancora nelle sue mani una ventina di uomini tra militari e poliziotti libanesi e minaccia di continuare le esecuzioni se il governo libanese non si ritirerà dalla zona di Aarsal.
Intanto nei campi profughi siriani dell'area circa 500 profughi sono stati percossi e condotti in una zona militare e centinaia di tende date alle fiamme. Secondo alcune testimonianze, confermate da foto, i fermati sono stati fatti distendere a terra in mutande, con le mani legate dietro alla schiena e sono stati calpestati e colpiti con calci di fucile. In risposta a queste violenza sono state organizzate manifestazioni dai siriani in cui sventolava la bandiera nera dello “Stato Islamico”, sullo slogan “meglio l'ISIS che l'esercito libanese”.

> Nella regione di Akkar:
I fondi internazionali sono in forte calo per l'UNHCR e le ONG, che stanno tagliando sempre di piu' gli aiuti. Per l'inverno non sono previsti aiuti speciali (coperte, stufe ecc..) per tutti i profughi che abitano al di sotto dei 1100 metri (cioe' dove ci troviamo noi).
Le municipalità dell'area di Akkar nell'ultimo mese hanno instaurato delle politiche molto restrittive nei confronti dei siriani, oltre a quelle gia' in atto, come il coprifuoco serale.
Alcuni campi sono stati improvvisamente sfollati, continuamente ci sono raid dell'esercito e della polizia che arrestano gli uomini con un'accusa di terrorismo spesso pretestuosa. Il metodo utilizzato per gli arresti non segue le procedure legali: vengono sfondate le porte, gli uomini sono chiamati tutti fuori e allineati, perquisiti, a volte stesi a terra... tanto da far pensare piu' a una strategia intimidatoria che a norme di sicurezza. Alcuni sindaci hanno esplicitato alle Nazioni Unite il loro intento di espellere tutti i siriani dalla propria giurisdizione. Si sono registrati anche attacchi e aggressioni di civili armati a singoli siriani o ad accampamenti.

CONDIVISIONE E LAVORO

Da quando siamo arrivati a fine mese scorso, abbiamo ripreso a vivere nel garage che avevamo lasciato all'inizio dell'estate, nel paese di Tel Aabbas. Qui ci sono circa 3000 abitanti di cui 2000 cristiani ortodossi e 1000 musulmani sunniti. Negli ultimi due anni si sono aggiunti 2000 siriani musulmani sunniti. I villaggi limitrofi sono invece a maggioranza alawita da un lato e sunnita dall'altro.  
Abbiamo scelto questo villaggio perche' ci permette di conoscere piu' parti coinvolte nel conflitto e perche' a causa della composizione e della posizione ci era stato segnalato come una possibile zona calda in caso di tensioni. Dopo la prima settimana, in cui abbiamo ripreso i contatti con le persone conosciute, abbiamo ricevuto la richiesta, da parte di alcuni profughi, di dormire nel loro campo in una tenda. In questo campo alcuni di noi avevano vissuto una settimana, in giugno. Durante l'estate, a causa dei fatti avvenuti in Aakkar, alcuni libanesi hanno minacciato i profughi di queste tende. E' stata lasciata nottetempo una lettera in una bottiglietta in cui i padri di famiglia del campo venivano minacciati e veniva dichiarata la volonta' di incendiare le tende se non se ne fossero andati. Da allora, a turno, qualcuno sta sveglio per fare da sentinella. Ci hanno chiesto di essere presenti al campo, perche' avevano sperimentato che la nostra presenza al campo aiutava a mantenere basso il livello di tensione con i libanesi.
Abbiamo visto che il nostro vivere al campo diventa indirettamente fonte di sicurezza anche per i libanesi cristiani, molto spaventati dalla presenza dell'ISIS nel territorio. Vivendo al campo “dimostriamo” che quel posto e' privo di pericoli per loro.
A partire dalla tenda e dal garage abbiamo impiegato le nostre giornate sopratutto nelle visite alle persone e nell'ascolto. Prima di tutto dei profughi, e in particolare di quelli che ci sembrano essere i piu' fragili e piu' in difficolta', o perche' soli o perche' in situazioni disperate, ma abbiamo fatto molte visite anche ai libanesi cristiani e musulmani. Cerchiamo in questo modo di mettere in contatto le persone che, pur vivendo vicine, non si relazionano le une alle altre.
A partire da questo ascolto abbiamo cercato di aiutare le persone nelle piccole cose quotidiane, la' dove le grandi ONG non arrivano. In particolare abbiamo aiutato una mamma, M., il cui marito e' sparito due anni fa nelle carceri del regime siriano, a cercare il sangue per le trasfusioni mensili di cui hanno bisogno i suoi due bambini talassemici; H. una vedova con sei figli, di cui il primo 13enne con una gamba amputata a causa di una scheggia di bomba, ci ha chiesto di procurarle una sedia di plastica con la quale lui potesse lavarsi in bagno, non riuscendo a stare in piedi da solo; abbiamo aiutato una famiglia a rimettersi in sesto dopo la tempesta che le aveva allagato la tenda, in cui si erano appena trasferiti, comprandole i fili per stendere e sistemando delle piastrelle all'ingresso in modo da non infangare i tappeti all'interno.
Con pennarelli, fogli e cartoncini abbiamo animato qualche pomeriggio vuoto ai bimbi siriani del campo e dei garage vicini al nostro. Nonostante la scuola sia gia' cominciata da almeno due settimane, i siriani ancora non possono accedervi e i bambini rimangono tutto il giorno senza niente da fare: sono letteralmente elettrizzati quando un adulto passa del tempo con loro anche solo per un girotondo e si emozionano davanti ai colori o alle maschere di cartoncino. Un'altra attivita' scaturita dall'ascolto delle varie situazioni e' stata quella di dar voce alle persone, da un lato segnalando i casi piu' gravi all'UNHCR perche' potessero accedere ai pochissimi fondi rimasti, dall'altro andando insieme a loro presso le ONG per chiedere con piu' autorevolezza gli aiuti. In particolare ci hanno chiesto una mano per ottenere legna e teli di plastica per poter attrezzare le tende in vista dell'inverno.
Verso la fine del mese poi, insieme ad un nostro amico della parrocchia ortodossa di Tel Aabbas, ci siamo ritirati per una giornata di preghiera e meditazione, per pensare, ideare, e affidare il progetto che stiamo facendo partire.

La vostra ferita è la nostra ferita

Dopo pochi giorni dal nostro arrivo siamo stati invitati dal responsabile del campo, dove in seguito abbiamo iniziato a dormire ogni notte, ad una manifestazione. Alcuni siriani, rappresentati di campi profughi o di associazioni, si sono organizzati in maniera autonoma, invitando le municipalita' locali per prendere le distanze dalle violenze perpetrate sui libanesi da parte dell'ISIS e per chiedere il rilascio dei soldati. L'obiettivo era inoltre quello di esprimere apertamente la loro vicinanza ai parenti dei soldati rapiti e uccisi.
Sotto un capannone erano stati allestiti alcuni striscioni su cui era raffigurato il volto del soldato decapitato il giorno prima e una scritta a caratteri arabi diceva: “la vostra ferita e' la nostra ferita”.
La manifestazione e' stata breve: si sono alternati al microfono alcuni rappresentanti per fare la loro dichiarazione ufficiale poi e' stata data la parola al sindaco di uno dei villaggi limitrofi.
Come colombe siamo stati contenti di aver partecipato a quella che ci e' sembrata una risposta nonviolenta e di solidarieta' al clima di violenza e paura che si respira in quest'area. Ci e' sembrato un bel segno di speranza e un bel primo passo da cui partire per lavorare insieme a libanesi e siriani.