È morto l’uomo non il suo sogno

Erano i primi anni settanta. Da circa un decennio in Cile si stava lottando per la redistribuzione della terra. La riforma agraria stava diventando realtà anche grazie alla spinta del nuovo governo di Salvador Allende. Un gruppo di mapuche, costretto a vivere in vere e proprie “riserve” dalla cosiddetta “Pacificazione della Araucania”, si stava organizzando per “recuperare” la propria terra ancestrale rubata.
L’esercito cileno dal 1861 al 1883 ha praticamente compiuto un genocidio della terra mapuche e del suo popolo, che fin dal 1600 aveva stipulato accordi di Pace con la corona spagnola, creando di fatto un regno indipendente a sud del fiume Bio Bio. Questo massacro è chiamato “Pacificazione della Araucania”.
Durante quegli anni il fermento politico in tutto il Cile era molto forte, studenti del nord scendevano al sud per mettersi al servizio dei contadini, i dibattiti e il confronto generavano speranza in un futuro più giusto dove quello che era stato tolto sarebbe stato restituito.
I mapuche sono il popolo della terra e senza terra perdono la loro forza; non la considerano una cosa da possedere o sfruttare.


Nella loro visione non esiste la proprietà privata: un mapuche non domina sulla terra ma fa parte di essa, la protegge perché la natura dà nutrimento e vita, in lei risiedono gli spiriti che muovono il mondo. La terra va rispettata e protetta.
Un piccolo uomo di statura, ma altissimo in strategia e intelligenza, stava guidando un movimento che aveva l’ambire di rivendicare le terre rubate.
Rafael Railaf Caniu non aveva potuto studiare molto: per i mapuche e i poveri l’accesso all’istruzione era un lusso; come tanti, dall’alba al tramonto, per un sacco di farina e un po’ di legna era costretto a lavorare la terra usurpata ai propri antenati e ceduta a ricchi latifondisti.
Assieme a pochi altri fondò il “Movimiento Campesino Revolucionario” che mobilitò i mapuche nelle primissime rivendicazioni territoriali.
Le comunità del territorio avevano sempre fatto un uso comunitario di un grosso fondo i cui confini si vedono dalla ruka (casa tradizionale mapuche) di Rafael: era terra usurpata alle comunità del territorio, finché il nascente Stato cileno la regalò ad un ricco latifondista. Un giorno, dopo essersi preparati a lungo, decidono di entrare nel fondo, non come semplici lavoratori sfruttati ma come proprietari, lo occupano e si riprendono quello che era loro! Nasce l’”Asentamiento Lautaro”. Il nome è evocativo, Lautaro era un guerriero mapuche, un toqui, che con coraggio e astuzia aveva affrontato e battuto i conquistadores spagnoli in molte battaglie nella seconda metà del 1500.
Il padrone del fondo si oppose ma sembrava che i tempi fossero maturi per un po’ di giustizia sociale: il governo lavorò per restituire la terra ai contadini; la riforma agraria è anche una forma per restituire la terra rubata ai mapuche.
La vita scorre con fiducia, finalmente si lavora la terra, si produce per se stessi, per la comunità. Si allevano animali e la terra è produttiva, il lavoro è diviso in commissioni che si occupano dei diversi aspetti, da quelli tecnici a quelli politici. Ci si forma e si forma come persone libere, con fierezza si può dire di essere mapuche.
Nel 1973 il processo di legalizzazione della proprietà della terra si sta finalizzando, ancora pochi mesi e la terra sarà nuovamente di proprietà delle comunità mapuche. Tutto subisce un brusco cambiamento l’11 settembre del 1973. Il generale Pinochet, a capo dei militari, rovescia il governo legittimo di Salvador Allende dando vita ad una dittatura feroce.
All’”Asentamiento Lautaro” i militari arrivano il 12, dividono gli uomini dalle donne, i bambini dalle madri. Tutti sono sottoposti a violenze e interrogatori. Loro cercano i leader del movimento.
Qualcuno, fra i quali Rafael, riesce a scappare. Inizia un periodo di forte repressione, la terra che era tornata mapuche viene restituita a chi l’aveva rubata, a quell’unico proprietario già in parte indennizzato dal governo caduto con il golpe.
Di notte Rafael torna alla ruka incontrando i suoi figli e sua moglie spaventati e affamati. Proprio a casa lo arrestarono qualche anno più tardi, per lui si aprirono le porte del carcere e visse l’esperienza della tortura. Dopo un paio di anni di clandestinità e due e mezzo di carcere fu rilasciato, a garantire per lui l’Olanda che gli offriva un esilio dove lui e la sua famiglia avrebbero vissuto lontano dalla sua terra ma vivendo da persone libere.
La dittatura terminò ufficialmente nel 1989 quando con un referendum il popolo votò No all’ennesima riconferma del generale Pinochet.
Il Paese era però cambiato, grazie alle ricette economiche dei “Chicago Boys” era diventato un Paese con un’economia forse più stabile ma anche più ingiusta, il Paese più liberista del mondo. La terra, il potere e l’economia sono in mano a pochi, per il figlio di un operaio e di un contadino rimane difficile far studiare i figli.
La vicenda dell’”Asentamiento Lautaro” è quasi dimenticata anche se rimane nelle storie che Rafael ancora in esilio racconta ai suoi figli. Rimane nelle storie dei superstiti, di chi ha lottato, ma anche di chi si è arreso.
Nel 2023 Rafael torna in Cile per visitare la sua terra, ormai è anziano, il movimento e la consapevolezza dei mapuche sta riprendendo forza, da qualche anno si parla nuovamente di “recuperazione” culturale e territoriale.
Alcuni superstiti dell’esperienza dell’”Asentamiento Lautaro” e alcuni dei loro figli hanno deciso di ribadire che quella terra appartiene a loro. Attraverso un avvocato hanno riattivato il cammino troncato dalla dittatura. La decisione di un governo “illegittimo” di restituire la terra al proprietario del fondo non è legale… la strada è ancora lunga ma anche Rafael per qualche mese è tornato a guardare quella terra dal punto dove sorgeva la sua ruka e ora sorge la casa di sua figlia e la piccola casa che stanno costruendo per lui.
Guarda l’orizzonte e mi sorride quando mi racconta la sua storia, canta in mapudungun, la lingua mapuche, accompagna il canto con il cultrun, il tamburo tradizionale. Mi racconta della lotta, della fuga, di quando era braccato dai militari che lo inseguivano con i cani. Mi racconta con orgoglio dei suoi sette figli, dei suoi nipoti.
Rafael si è spento il 4 marzo di quest’anno, doveva tornare in Olanda ma si è sentito male. Al suo funerale c’era uno striscione che ricordava l’”Asentamiento Lautaro”, raccontava una storia del passato ma anche di oggi; uno dei presenti al funerale, figlio di un anziano che ha partecipato a quell’esperienza, mi racconta di come anche Rafael con il sorriso stampato sul viso avesse firmato la procura per l’avvocato che sta portando avanti la causa per la restituzione della terra. Sulla sua bara la bandiera del “Movimiento Campesino Revolucionario”.
E’ morto l’uomo non il suo sogno, qui c’è chi continua a rivendicare il diritto su una terra usurpata due volte e a chiedere giustizia.
Buon viaggio “peñi” Rafael Railaf Caniu, ti ritroverai con gli amici di un tempo e guarderai la tua madre terra.

Fabrizio