Come una spugna

Colombia

I miei due mesi come accompagnante della comunità di pace sono terminati e adesso è dura voltarsi e partire. Proprio mentre stavo iniziando ad entrare in relazioni più profonde, proprio ora che iniziavo a fare i mie primi passi in modo autonomo, me ne devo andare, devo tornare a casa… Sento un po' di tristezza al pensiero che questa esperienza è terminata, ma sono anche infinitamente grata e felice per quello che ho vissuto.

Parto piena, ricca, carica dell'affetto, delle attenzioni delle persone e del loro dono prezioso che mi hanno fatto ogni volta che hanno deciso di parlarmi, aprirsi, raccontarsi, affidarmi i loro vissuti, le loro fatiche e le loro speranze.
Quanta ricchezza, quanta pienezza!! Poter ascoltare, condividere, vivere, seppur per un breve tratto di cammino!
Ho toccato con mano la forza e la grandezza di questi campesinos che nonostante la paura, le minacce, le infinite ingiustizie, scelgono con coraggio di continuare a vivere nei loro villaggi e a coltivare la loro terra. Ogni giorno rischiano la vita per il semplice fatto di vivere in una terra che gli appartiene e di continuare a fare l’unico mestiere che sanno e che vogliono fare.
Non si può non restare incantati davanti a chi sceglie di rischiare la vita per la giustizia, per l’affermazione dei diritti dell’uomo, davanti a chi, pur sapendo che questa scelta non cambierà davvero la realtà corrotta che li circonda, persevera nel suo cammino di giustizia e nonviolenza per la profonda convinzione che non esista modo migliore per vivere.
Ho conosciuto la grandezza della Comunità di Pace, una comunità che si adopera per il rispetto dei diritti di ogni uomo, che alle offese, alle minacce e alla violenza sceglie di rispondere con la neutralità e la resistenza nonviolenta. La forza e l’umanità di una comunità capace di spendersi, di faticare giorno dopo giorno per la giustizia e la verità, per ogni vittima, per ogni uomo.
In trenta, tra uomini, donne, bambini e anziani si sono adoperati per cercare un giovane trattenuto illegalmente dall’esercito. Trenta persone che si stringono attorno al dolore di una famiglia e si mettono in cammino, risalgono monti aggrappandosi a liane, rami e radici, arrancando nel fango alla ricerca di un giovane, della verità e della giustizia. Ho condiviso con loro la sofferenza e la profonda delusione davanti alle dure parole del comandante quando ha urlato “Non abbiamo nessun prigioniero e nessun detenuto!”, quando guardando negli occhi la madre, il figlio e la compagna in lacrime ha scelto di mentire, di prendersi gioco di tutti.
Ho sentito l’ingiustizia di vivere in un paese dove la sanità è un diritto solo per alcuni, ricevere cure adeguate, un raro privilegio. Un’anziana signora soffre moltissimo a causa di un tumore che nessuno ha mai realmente deciso di curare, soffre dolori che nessuno si occupa di sedare... un senso d’infinita amarezza e d’impotenza mi ha assalito quando l’ho vista con gli occhi lucidi e lo sguardo triste e rassegnato camminare con fatica stringendosi la pancia.
Ho visto da vicino le fatiche di una donna che dalle quattro di mattina inizia a lavorare per cucinare, sistemare la casa e crescere i bambini senza ricevere mai in cambio nulla. La sofferenza sua e di tantissime donne costrette a vivere in una società ancora troppo maschilista che, nonostante tutto, ancora non riconosce alle donne tutti i diritti e la libertà di cui gode l’uomo.
Ho ascoltato le parole di una signora che ha dedicato la vita alla lotta per la pace, lei, che ha passato così tante difficoltà e momenti di angoscia e ha visto tante volte la morte, con degli occhi indescrivibili, pieni di gioia, mi ha parlato di vita, di amore... e tutto quello che avrei voluto fare era solo piangere, stringerla e baciarle i piedi... ringraziare il Signore per aver avuto la fortuna di conoscerla.
Ho trovato la misericordia di Gesù in croce nelle parole di un contadino che dopo queste infinite violenze, torture, sfollamenti e dopo aver perso la figlia, respinge con decisione qualsiasi reazione violenta. Sul suo cuore non c’è traccia di odio, di vendetta, solo la volontà di affidarsi a Dio e di scegliere il perdono…
Sono rimasta incantata davanti alla disarmante bellezza di questa natura, ho imparato a riconoscere la grandezza dei suoi doni. Guardando i campesinos al lavoro ho scoperto quanta cura, fatica e amore siano racchiusi in un piccolo chicco di riso, dal suo nascere, al suo nutrire, dalla semina, al raccolto, alla pilatura, ogni chicco di riso ne è orgogliosamente pregno!
In un luogo dove tutto parla di violenza, morte, massacri, ho sentito la vita pulsare più forte che mai. Qua la vita urla, reclama il suo spazio con una forza incredibile e grida forte la sua immortalità!
Sapevo che dedicare solo due mesi a questa esperienza sarebbe stato poco e fin da subito mi è stato chiaro che una delle cose più importanti che potessi fare era quella di assorbire, assorbire tutto, il più possibile. Come una spugna mi sono lasciata invadere, riempire da tutte le emozioni, i racconti, i vissuti. E proprio come una spugna strizzata male finisce per marcire, così so che adesso devo lasciare uscire tutto quello che ho assorbito, devo buttarlo fuori, portarlo a tutte le persone che vorranno ascoltare perché, se non riuscissi a farlo, tutto quello che ora sento marcirebbe e finirebbe per perdersi... e tutto questo sarebbe stato inutile.

Sara