Il mio ritorno in Colombia

Colombia

Una giornata di pioggia che sembra interminabile.
Io ed Andrea siamo andati a visitare Soila , una signora della comunità, una donna dal cuore grande, forte, gioiosa nonostante il suo passato. Ci ha fatto entrare, sedere nelle poche sedie che possiede, mostrandoci con orgoglio la sua scrofa con tre porcellini.

Da una semplice domanda ha cominciato a raccontarci della sua vita, della sua famiglia e dei suoi figli, entrando sempre più nel profondo, con gli occhi lucidi ed il cuore in mano. Ci ha raccontato di un figlio scomparso da qualche anno, di una figlia morta a soli due mesi di vita, del marito che la picchiava e che è riuscita a lasciare solo dopo aver sopportato tutto questo per sette lunghi anni, e, non contento, gli ha portato via i figli raccontando loro che lei non era la loro madre. Ci ha raccontato della sua adolescenza a Monteria dove cercava di scappare dalla madre perché conviveva con un uomo che le trattava male, lei che era stata cresciuta dai nonni che se ne sono andati troppo presto.
Ci ha raccontato di come sia riuscita a rifarsi una vita con un nuovo compagno qui alla Holandita, insieme nel 1997 hanno resistito in San Josè, dove erano rimasti loro due e solo altre tre persone, quando la violenza e i combattimenti erano la quotidianità. Non nega che aveva molta paura, ma il suo compagno è riuscita a convincerla che era uguale: morire qua o in qualsiasi altro luogo, ma almeno qua era la sua terra. Si ricorda di come lui l'ha lasciata libera di scegliere, se voleva andarsene lo poteva fare, però lei ha preferito restargli a fianco, aiutando le altre persone, aprendo la loro casa a tutte le persone che ne avevano bisogno.

L'8 ottobre del 1997 il suo compagno è stato ucciso (dicono dai paramilitari) mentre stava aprendo un cammino nei pressi della Cristallina, una vereda non molto distante da S. Josè. Non dimenticherò mai i suoi occhi mentre ci raccontava tutto questo, brillavano di lacrime e di ricordi, d'amore per lui e per la comunità.
Ci ha raccontato poi di quando sono arrivati a S. Josecito, la prima cosa che ci ha detto è che non c'era nulla. Solo la casa degli internazionali. Dormivano tutti li, uno vicino all'altro, per farsi forza. Non so chi ci fosse con lei in quelle notti dove gli unici rumori erano gli spari, non so chi ci fosse, ma credo che la maggior parte li conosco e con loro continuo a condividere le mie giornate. Sono persone forti, che non smettono di lottare, e solo la morte potrà spegnerli. Anzi, non penso, nemmeno questa, perché la loro forza vivrà attraverso i loro figli, attraversi i ricordi e soprattutto attraverso la continua ricerca di giustizia che li accompagna nel giorno e nella notte, nella sofferenza e nella serenità.
Il mio ritorno in Colombia è iniziato così, con molte visite nelle case delle persone della Comunità, dove oltre alla porta ti aprono i loro cuori. I racconti dei loro vissuti scivolano leggeri nell'aria, arrivano fino alla mie orecchie, che ascoltano, apprendono, ributtano tutto al cuore, che mi fa emozionare e riflettere su quanto ritornare qui sia stata la scelta migliore per vivere quanto avevo per un po' di tempo “lasciato” e capire che questo è oggi il posto che sento mio, grazie a tutte le persone che ho incontrato su questo cammino e che ogni giorno mi insegnano quanto sia importante continuarlo.

Alice