I paramilitari sfidano lo Stato Colombiano

Colombia

L'anno nuovo si apre in Colombia con l'uccisione da parte delle forze di polizia di Juan de Dios Úsuga David “alias Giovanni”, il capo degli Urabeños, il gruppo paramilitare più forte e incisivo, capace di paralizzare una buona parte del paese per un giorno intero. E' quanto è successo il 5 di gennaio di questo nuovo anno: le attività commerciali, i trasporti, le banche e persino gli uffici governativi dei dipartimenti del Magdalena, Antioquia, Chocó, Córdoba, Sucre e Bolívar hanno chiuso i battenti, dopo la diffusione di un libretto di poche pagine nel quale il gruppo paramilitare imponeva lo stop forzato di qualsiasi attività, per partecipare al lutto per la morte di Juan de Dios. Tra le municipalità minacciate nella regione dell'Urabà antioqueño ricordiamo quelle di Apartadò, Turbo, Carepa, Necoclì, Chicorodò e Arboletes, mentre l'intera regione di Cordoba è stata interessata dal fermo.
Persino la parte occidentale di Medellin ha subito più di un'intimidazione e qualche attacco: durante la notte un autobus è stato incendiato, dopo che un gruppo armato ha intimato ai passeggeri di scendere.
A Santa Marta, nel Magdalena, i libretti firmati dal gruppo paramilitare Autodefensas Gaitanista de Colombia sono stati distribuiti nel mercato cittadino da due uomini armati che hanno obbligato i commercianti a chiudere i loro negozi.
A Cordoba, nei pressi di Monteria, gli abitanti dei municipi di  Puerto Escondido, Moñitos, Los Córdobas e Canalete, si sono barricati nelle loro case dopo che centinaia di libretti che contenevano minacce hanno inondato i caschi urbani e le aree rurali di queste località. Le minacce erano rivolte ai commercianti e ai produttori che intendevano trasportare i loro prodotti via fiume e via strada nei pressi del Rio Sinú. Alcuni contadini raccontano che sono stati gli stessi membri armati dell'Autodefensas Gaitanista ad essersi avvicinati ai negozi e alle abitazioni per avvertirli di non lavorare e di non uscire dalle loro case.
Dopo il duro colpo inferto allo Stato dai paramilitari, che il The Economist definisce come “la maggiore sfida all'autorità dello Stato da quando Juan Manuel Santos è diventato presidente della Colombia”, sorgono spontanee alcune domande: qual'è stata la risposta dello Stato, o delle forze dell'ordine? Perché la gente ha deciso di sottomettersi ancora una volta ai paramilitari e non ha dato segno di dare almeno un po' di fiducia alla capacità dello Stato di rispondere ad un'emergenza?
Le risposte alle due domande sono sicuramente collegate: in vista dell'emergenza lo Stato ha mobilitato le forze di polizia e dell'esercito affinché garantissero il normale svolgimento della vita quotidiana. A suo avviso la gente non avrebbe dovuto dar credito alle minacce. Dall'altro lato abbiamo le forze dell'ordine che si mostrano del tutto impotenti, non vogliono o non sanno come agire, non c'è nessun arresto, in alcune zone storicamente in possesso degli Urabeños è la stessa polizia a sottomettersi al volere dei paramilitari, permettendo o sorvolando sulle azioni di questi ultimi. Per quanto riguarda la reazione della gente è stata la paura ad averla spinta ad adeguarsi al volere dei paramilitari, una paura dettata da un passato troppo vicino e dalla totale mancanza di fiducia nei confronti delle forze dell'ordine e, più in generale, nei confronti dello Stato.
Per capire meglio le dinamiche di questo fermo forzato andiamo alle radici.
Il gruppo paramilitare Autodefensas Gaitanista de Colombia, inizialmente chiamato “Eroi di Castaño”, nasce nel 2006, nella regione dell'Urabà antioqueño. Comandato al principio da Daniel Rendón Herrera, alias “Don Mario”, dopo la smobilitazione del fratello, ex capo paramilitare, Fredy Rendón Herrera, alias “El Alemán”, il gruppo si è espanso verso nord in cerca di un corridoio per il narcotraffico e per rioccupare i territori che i vecchi gruppi paramilitari avevano lasciato vuoti dopo la smobilitazione. Nel 2009 viene catturato “Don Mario” e i fratelli  Úsuga David prendono il comando del gruppo che da quel momento si chiamerà “La Banda di Don Mario”, salvo cambiare  nuovamente nome dopo l'alleanza con un altro capo paramilitare, alias “Mi Sangre”, con la quale adottano il nome che conservano ancora oggi: “Los Urabeños”.
I fratelli Úsuga David, 8 in tutto, sono sin dal  principio legati alla violenza colombiana: Juan de Dios cresce militando nel fronte Bernardo Franco del Epl, mentre suo fratello Dairo, nel fronte  Elkin González della stessa guerriglia. Fernando, il quinto, viene condannato per appartenenza alle milizie delle Farc, e il più giovane, Carlos Mario, è stato investigato per corruzione.
Dopo essersi smobilitati dall'Epl, nel 1991, Juan de Dios e Dairo, si uniscono all'ACCU,  Autodefensas Campesinas de Córdoba e Urabá, l'esercito personale dei fratelli Castaño. E' a quest'epoca che risalgono i contatti con “El Alemán” e “Don Mario”.
Comincia così il loro impegno nella guerra contro le Farc per il controllo della ragione di  Urabá.
Dairo Antonio diventa uno dei capi delle terribili AUC, che nel 1997 entrano con inaudita violenza seminando l'orrore a Mapiripán, nel Meta. Con lui si spostavano i  temibili “Tagliatesta”,così chiamati per il modo in cui uccidevano le loro vittime.
Oggi, dopo la morte di Juan de Dios, Dairo Antonio ha assunto il comando degli Urabeños. La banda controlla soprattutto le zone costiere che da Sapzurro (Chocó), si spingono fino al Sucre, Bolívar e Magdalena, passando per il golfo di Urabá. E' qui che passa la coca che proviene dal Paramillo, dal Basso Cauca antioqueño e il sud del Bolívar: un chilo di coca comprata qui costa 2.600.000 pesos (mille euro circa), mentre la banda guadagna 16.000 dollari per trasportarlo fino a Panama. Quando arriva in Messico lo stesso chilo ne vale 40.000, mentre a Miami 80.000.1
Dopo questa dura prova di forza da parte degli Urabeños, il governo dovrà rivedere i termini della questione, dovrà riflettere sulla sua credibilità e, magari, prendere coscienza dell'inefficacia delle misure prese sino ad ora per combattere quelli che non sono semplici gruppi criminali dediti al narcotraffico. La capacità di intimidazione, le sue forme di controllo territoriale, i suoi metodi di azione e i suoi costanti massacri, assassini, sfollamenti e attentati contro leader, non sono spiegabili se non riconoscendo la stessa radice paramilitare, i cui legami con il narcotraffico, coi grandi proprietari terrieri e con frange dell'esercito sono congeniti e vanno riconosciuti e affrontati. E' necessario fare un po' di chiarezza all'interno dello stesso mondo politico, indagare seriamente sui legami che ancora ci sono tra questi gruppi e la forza pubblica, i grandi impresari, le multinazionali e i grandi proprietari terrieri.
Rimane poi il problema del narcotraffico, a cui lo Stato continua a reagire con il vecchio Plan Colombia, una soluzione prettamente militare, che risente di un'ideologia statunitense di intervento armato, ma che non risolve i problemi sociali che sono alla base di tutto. Ciò di cui lo Stato non vuole rendersi conto è che in tutti questi anni le cose si sono modificate, la realtà è cambiata e le sfide si sono fatte più sottili, ma non altrettanto le strategie per affrontarle: con la perdita di mercati internazionali per la vendita della coca, i nuovi gruppi si sono dedicati al traffico interno, si sono riappropriati lentamente delle grandi città e delle loro centrali di rifornimento, hanno portato avanti una grandiosa campagna di reclutamento tra i giovani e hanno aperto nuove strade più redditizie: contrabbando di combustibile, traffico d'armi, sfruttamento minerario illegale e altre attività al margine della legge. Dinnanzi alla restituzione delle terre e la riparazione per le vittime hanno risposto con intimidazioni, con una sofisticata campagna di discredito verso le persone e i funzionari impegnati in queste attività e hanno manipolato l'esito delle elezioni amministrative, alleandosi con personaggi politici di comodo, dettando loro stessi l'agenda politica di interi municipi.
Si sono, infine, allontanate dal controllo del mondo politico. Dopo le due leggi farsa, la legge “di giustizia e pace” e la legge “per la restituzione delle terre”, eredità del precedente governo Uribe, la falsa smobilitazione del paramilitarismo ha avuto come effetto un suo svincolamento dal mondo politico e quindi dal suo controllo. La reazione di Uribe al fermo forzato, bombardare i campi paramilitari, la dice lunga su questo fatto. E' come se lo Stato avesse cercato di tamponare con provvedimenti legislativi una situazione che agli occhi del mondo era diventata insostenibile. Il fatto che lo Stato, servendosi dei paramilitari, si fosse macchiato di gravissimi crimini contro l'umanità, attirandosi i rimproveri e la riprovazione di tutto il mondo, ha obbligato Uribe ad intervenire, a tentare di smantellare un vero e proprio esercito parallelo, salvando la faccia e salvando gli stessi capi paramilitari, estradandoli. Ciò che non aveva previsto l'ex-presidente era una perdita di controllo di così vasta portata. Il che complica ulteriormente la questione, perché questi nuovi gruppi, ribattezzati neoparamilitari, agiscono liberi da ogni vincolo, minacciano, obbligano allo sfollamento e uccidono indiscriminatamente. Nulla è cambiato dunque per i contadini, ancora una volta vittime di un sistema malato, vessati da un conflitto la cui soluzione è ancora lontana.

di Andrea Rollini