Spostare la lotta

Quando era ormai diventato uno dei capi del principale movimento per la liberazione del suo popolo e ne stava organizzando la lotta, anche armata, quando si era costruito una fama di imprendibile, di "primula nera" inafferrabile, quando forse era arrivato a immaginare quale
potesse essere il cammino di lotta per la sua gente, fu arrestato.

Il processo, con imputazioni durissime, lasciava poche o nessuna speranza: esecuzione immediata o carcere a vita.
Nessuna possibilità di contatti con l’esterno, neppure sapeva se moglie e figli fossero vivi.
Se la speranza aveva radici nella sua rete di rapporti, beh, la speranza era morta.
La sua vita come la conosceva prima non c’era più e per quel che si poteva immaginare, non sarebbe tornata.
In quei giorni, in quei mesi Mandela, si, proprio lui, provò a trasferire la lotta su un piano differente, non più all’esterno, non più con alleanze e scontri e incontri e progetti che riguardassero il mondo fuori: la nuova lotta era per capire chi fosse, quale missione avesse in questo momento di chiusura e in che modo trasformare il carcere da un luogo di disumanizzazione ad un posto in cui costruire addirittura un mondo nuovo.

In questi giorni, già diventati settimane, come Operazione Colomba non possiamo essere presenti in tutte le zone di guerra in cui operiamo (continuiamo ad accompagnare e sostenere le varie situazioni con modalità diverse); il virus, la pandemia, ci costringono chiusi a casa.
Ci piacerebbe utilizzare questa costrizione per spostare la lotta, come Nelson, su un piano non più esterno ma interiore.
Facciamoci guidare dalle domande che immaginiamo essersi posto, dai suoi diari.

Chi sono davvero io?
Sono un riferimento per la liberazione di altre persone?
E se lo sono, come posso, da qui, da queste mura, liberare me ed altri?
Come potrò vincere questo senso di impotenza?
E come nutrirò la mia anima che vuole essere libera anche se non si può muovere?

Proviamo a dare tempo e silenzio a queste domande, perché vogliamo che la risposta sia vera.