Piano Nazionale di Sviluppo

Colombia

Il “Plan Nacional de Desarollo” (PND) è la base della politica di governo dei Presidenti della Colombia.
Il processo elettorale colombiano prevede che gli aspiranti presidenti della Repubblica in campagna elettorale leghino le proprie proposte di governo alla gestione del PND. La pratica di tale pianificazione fu introdotta e stabilita in Colombia a partire dagli anni '50, con il governo di Mariano Ospina Perez e con l'appoggio di una missione della Banca Mondiale.

Il PND si compone di una  parte generale, dove vengono indicati i propositi e gli obiettivi nazionali di lungo periodo, le mete e le priorità delle azioni intermedie, le strategie e gli orientamenti generali della politica economica, sociale e ambientale che saranno adottate dal governo.
Una seconda parte è invece relativa agli investimenti pubblici e la specificazione delle risorse finanziare richieste per la loro esecuzione.
I PND di compimento obbligatorio hanno permesso il consolidamento del voto programmatico come principio elettorale nell'ambito territoriale, così da costringere i governanti a convertire le proprie proposte e i programmi di governo nei PND, che a loro volta saranno accordati nei municipi, nei distretti e nelle ordinanze dei dipartimenti regionali.
Il “Plan de Desarollo” che per la presidenza Santos si riassume in “Prosperidad para todos” (Prosperità per tutti), può essere collegato ad un recente progetto di legge volto a risolvere il grande problema dell'area rurale della Colombia. Il progetto di una riforma agraria rientra nel più ampio piano di sviluppo del paese, che il Presidente sta tentando di portare avanti.

Uno dei compiti più urgenti che oggi possiede il governo del Presidente Manuel Santos è quello di affrontare, con progetti di lungo periodo, il grande problema dell'area rurale colombiana. Questa rappresenta il 75% dell'intero territorio nel quale vive 1/3 della popolazione totale, in un contesto di conflitto: la guerra tra lo Stato e i gruppi guerriglieri, la presenza di gruppi illegali, le coltivazioni illecite di coca, la sempre più forte febbre mineraria da parte di grandi multinazionali con i rischi ecologici e sociali che si trascina, ed infine, non di minor gravità, le tensioni intorno al tema della restituzione delle terre.
Il cuore del problema rurale è la terra. Il 94% del territorio del paese è rurale e il 32% della popolazione vive in questa area. Se si pensa che il 77% della terra è nelle mani del 13% dei proprietari terrieri, e il 3,6% di questi ha in gestione il 30% della terra, la conseguenza più evidente è una scandalosa povertà che affligge i “campesinos”. La concentrazione delle terre si relaziona direttamente con il conflitto armato, che permette il potere nelle mani di pochi, grazie all'appoggio dei differenti gruppi armati illegali.

Almeno due governi tentarono nel XX secolo di proporre una riforma agraria. Alfonso Lòpez Pumarejo, con la legge 200 del 1936, mise fine alle grandi proprietà e pose le basi per  un “regime di terra”, che però finì nelle sole mani dello Stato e mai divenne una vera e propria riforma agraria.  Negli anni settanta, dopo 25 anni di guerra civile, Carlos Lleras si impegnò in una redistribuzione della terra, distrutta dal Patto di Chicoral, nel quale partiti politici e latifondisti frenarono le espropriazioni dei latifondi.
Fin ad oggi nessun governo è riuscito a democratizzare la proprietà della terra perché il potere politico è sempre stato fortemente legato agli interessi che questa genera.
Infatti parlare di una grande riforma nel campo dell'agricoltura genera tutti i tipi di polarizzazione e sospetti, perché potrebbe mettere in discussione lo “status quo” delle élite politiche ed economiche; il compito più urgente, infatti, è quello di creare una classe media rurale capace di affrontare e trasformare la vita politica di questa Colombia dove le istituzione continuano ad essere  avvolte dall'illegalità.
Il progetto della “Ley de Desarrollo Rural” (Legge di sviluppo rurale) redatto dall'attuale Ministro dell'agricoltura Juan Camilo Restrepo, verrà presentata questo semestre al Congresso con l'idea di attuare programmi ad alta partecipazione contadina, sindacale e statale, dove si possa mirare alla costruzione di un capitale umano, una redistribuzione più equa delle proprietà terriere e un'assistenza tecnica per quando riguarda i piccoli proprietari.
Lo stesso Ministro promotore del progetto però annuncia pubblicamente le sue preoccupazioni per quanto riguarda la riforma, in quanto sostiene che le varie istituzioni locali non saranno in grado di rispondere a tutti i punti della legge. Per dirlo con le parole di Restrepo “...è come se avessimo messo una bomba atomica”.
Una tale affermazione pare annunciare quindi un inevitabile fallimento.
Tutti questi piani di sviluppo governativi infatti sono accompagnati da una realtà  molto preoccupante che vede come protagonista in tutte le regioni rurali, comprese Antioquia e Cordoba, la forte presenza di gruppi criminali che davanti agli occhi delle autorità gestiscono i cartelli del narcotraffico, l'assenza di infrastrutture, una pessima viabilità ed una rottura del dialogo tra lo Stato e la società civile dettate dalle ancora aperte ferite create dal conflitto.

Di seguito vi proponiamo alcune testimonianze:

Ceser Otero, contadino di cinquantasei anni di Chuchurubì, nel municipio di Caretè (Alto Rio Sinù), racconta che “in Cordoba si avevano 52000 ettari di cotone e ora, con difficoltà, si arriva a 15000”. Negli anni settanta infatti la coltivazione del cotone rappresentava un vero e proprio boom economico, successivamente a causa di alluvioni, di parassiti che colpirono le piante e di politiche governative scorrette, le coltivazioni ebbero un crollo tale che le grandi estensioni di cotone si trasformarono in grandi campi dedicati al mero allevamento. Una delle prime conseguenze di ciò fu l'aumento della disoccupazione, in quanto un ettaro di cotone genera 30 braccianti diretti e 60 indiretti, mentre l'allevamento genera un posto di lavoro per ogni 100 ettari. Come racconta Ceser, quando denunciarono la situazione al Ministero dell'Agricoltura, si sentirono rispondere che queste erano delle “frottole”.

Don Luis Carlos Jimenez è un signore di sessantasette anni che per tutta la sua vita ha lavorato come bracciante in un “finca” cotonifera. E' analfabeta e mai nella sua vita è stato proprietario di un centimetro di terra. Suo padre, anche lui bracciante, non è mai stato proprietario di nessun terreno e nemmeno i suoi figli lo saranno.
Vive con la sua sposa e un figlio che soffre di insufficienza renale e deve fare tre dialisi alla settimana. Alla domanda “Pranzi tutti i giorni?”, Luis risponde “Un giorno si e un giorno no, e nei giorni nella quale non mangio, bevo solo acqua e panela (zucchero di canna).
Il signore racconta che il Rio Sinù ha sempre modellato la vita di tutte le persone che vivono in questa area: la mattina era sempre dedicata al lavoro mentre il pomeriggio alla pesca. Con la costruzione della diga di Urrà  tutto cambiò. Le innumerevoli inondazioni e la siccità ha sconvolto completamente le coltivazioni e la pescosità dei fiumi.

Victorino Hernandez, allevatore della regione, afferma con nostalgia “ho sempre visto povertà in Cordoba, però oggi vedo la fame ed è urgente, quindi, una seria riforma agraria”.

Un gruppo di contadini di Monteria sono stati testimoni di come i grandi proprietari terrieri abbiano danneggiato il Rio Sinù seccandone la sponda sinistra tanto che dei 52000 ettari di terra fertile e umida ne sono ora rimasti solo 22000. La situazione risulta ancor più drammatica nell'area di Ceretè dove, per favorire gli allevamenti, sono state prosciugate nove lagune su dieci.
La concentrazione della terra e la disuguaglianza è cresciuta nell'ultimo decennio nell'area rurale. L'indice di Gini, che vuole esprimere il livello di disuguaglianza all'interno di un Paese, è passato da 0,74 a 0,88 (il valore è compreso tra 0 e 1, più si avvicina all'unità più il paese risulta disuguale). La maggior concentrazione della proprietà si trova nelle zone dedicate all'allevamento e in quelle dalla quale si estraggono le principali risorse naturali e minerarie. La maggior concentrazione della terra è collegata alla maggior persistenza degli stessi partiti politici, ovvero dove il sistema democratico è  nelle mani dei gruppi di interesse.