Il tacchino del 1° dell'anno

Colombia

Provate voi, a far sedere attorno ad un unico grande tavolo di pietra una decina di vecchietti, 4-5 uomini soli, un ragazzo tetraplegico ed una madre iperprotettiva. Vi assicuro che non è un'impresa semplice come possa sembrare. L'organizzazione inizia con una richiesta, con una voglia di golosità e condivisione, di Viviano. Viviano – Pino per molti – è un vecchino magro magro, sempre allegro un poco ricurvo sotto il capello di paglia, 83 anni di lavoro portati benissimo.

Sbuca con quei suoi occhi vispi da dietro la porta di legno: «¿Vamos a comer el pavo por el primero de jenero?». Mangiare il tacchino il primo di gennaio non è propriamente una tradizione colombiana. Però il primo gennaio tutti i giovani e le famiglie con i bambini scendono al fiume, a fare il bagno e a divertirsi. Qui in Comunità rimangono, in giorno di festa ma senza molto con cui festeggiare, i più anziani, gli uomini soli che non sono andati a lavorare, chi famiglia non ha mai avuto o non l'ha più.
Viviano è uno di questi, e da lui viene la proposta del tacchino, mentre stiamo facendo colazione.
Ci guardiamo. Prendiamo un po' di tempo. Parliamo con altre persone della Comunità. Accettiamo.
Viviano si occuperà di trovare il tacchino. Juancho lo ammazzerà. Brigida e Lilli lo cucineranno. Noi daremo una mano in cucina, contribuiremo alla spesa, organizzeremo gli inviti.

Lista degli invitati (con relative problematicità dell'invito):

  • Viviano, ovviamente, e sua fratello Joaquin, 78 anni, un comunista con un sorriso enorme che bene starebbe in qualche festa dell'Unità, a cui la camicia rossa che gli abbiamo regalato calza perfettamente;
  • Juancho e sua mamma Maria, 88 anni, nostra vicina di casa. Bisognerà convincere Maria a mangiare assieme agli altri, senza che arrivi con il suo contenitore, lo riempia, e torni a mangiarlo a casa;
  • Hector, una quarantina di anni, vive solo. Bisognerà pregarlo un po', cercare di convincerlo a lasciar perdere la semina dei fagioli per un giorno, sperare che arrivi mediamente in orario;
  • Don Luis, un'età compresa tra i 60 e gli 80 anni. Si regge su due stampelle di vario materiale e forma, tenute a difficoltà da pezzi di spago, si trascina con difficoltà appoggiando un piede con il pollice piegato all'indietro. Speriamo abbia forza per raggiungere la mensa, casa sua dista quasi cento metri;
  • Dona Diocelina, si contende con Maria lo scettro di nonna del villaggio, ma non conosciamo l'età precisa – ed è mamma di Don Luis, il che infittisce il mistero. Bisognerà andare a prenderla e accompagnarla a braccetto alla mensa;
  • Don Efraim, forse l'uomo più vecchio di tutta San Josesito. Vive solo, di notte a volte si perde nell'oscurità, gli occhi lo tradiscono. Bisognerà vedere se i sandali che gli abbiamo comprato per Natale gli vanno bene, bisognerà andare a ricordargli l'appuntamento;
  • Dona Evangelina e il figlio Juan Gabriel. Juan Gabriel è disabile totale, lo è rimasto tanti anni fa dopo una malattia: passa la quasi totalità del suo tempo seduto su una sedia a dondolo nella sua casa senza finestre, quando andiamo a visitarlo sembra essere contento, ma non si riesce molto a capire quello che vorrebbe comunicare dietro ai suoi grugniti e a quel suo corpicino rattrappito. La madre lo accudisce come può, ma spesso non riesce a farsi aiutare in quello che sarebbe necessario per lui. Sarà difficile convincere lei a farlo uscire dalla stanza, sarà difficile convincerla a venire anche lei assieme, bisognerà controllare se la carrozzina ancora funziona, sperare che lei lo riesca a preparare, insistere con forza varie volte;
  • Don Miguel, Don Josè detto el Diablo, Dona Teresa ed il suo compagno Eduardo, Don Jesus, Pupilo (come si chiamerà poi, Pupilo?);
  • Dona Brigida, chiaramente, e ovviamente Don Anibal, il nostro custode, tuttofare, cat-sitter e molti altri ruoli che svolge, direttamente e indirettamente, su richiesta o motu proprio, per aiutarci.


L'appuntamento è per le 13 di lunedì 1 gennaio alla mensa.
Alle 13.10 sono arrivate due persone, oltre quelle che già stavano cucinando. Iniziamo il giro di raccolta: Don Luis ha male a un piede e non ce la fa a venire, Hector non si trova, Dona Teresa arriva a horita (termine colombiano che può indicare un tempo compreso tra ora e fra qualche ora), a Don Efrain i sandali non calzano proprio, verrà scalzo, Don Jose non si vede, forse è andato a lavorare. Dona Evangelina non è proprio convinta che Juan Gabriel sia pronto, la aiutiamo a vestirlo; la carrozzina non funziona, decidiamo di portarlo a peso nella sua sedia a dondolo; lei si lascia pregare a lungo prima di raggiungerci.
Pian piano, terminato l'acquazzone che impediva quasi di muoversi, iniziano ad arrivare alla spicciolata. Maria senza il contenitore, Dona Diocelina con la camicetta delle grandi occasioni accompagnata da due nipoti, Don Anibal vestito a festa, Don Efrain scalzo però con la maglietta nuova che gli abbiamo regalato, arriva pure Don Luis che aveva detto che non ce l'avrebbe fatta. Distribuiamo i piatti, il sancocho (la zuppa di tacchino, platano verde, yucca e patate) basta per tutti, riso non ne manca, le bibite son sul tavolo.
E pian piano, mentre diciamo buon appetito, mentre facciamo un applauso alle cuoche – accorgendoci felicemente che sono di più di quelle che avevamo chiamato -, mentre ci auguriamo un felice anno nuovo, pian piano iniziamo a capire che tutto lo sforzo organizzativo fatto, tutta la tenacia messa per convincere le persone, tutte le insistenze fatte che hanno sfiorato la preghiera sono servite a molto. Cominciamo a vedere gli imbarazzi sciogliersi assieme alle risate, i timori svanire in un pasto condiviso, tutti assieme, intorno ad un lungo tavolo di pietra. Tutto ciò non dura più di 30 minuti. Ma sappiamo che questi 30 minuti hanno segnato il ricordo di una giornata, fatto iniziare un anno nel migliore dei modi e rimarranno un ricordo piacevole di cui parlare, di cui ridere.
Con la speranza che anche l'anno prossimo vedremo la faccia magra di Viviano sbucare dalla porta, a proporre di mangiare tutti assieme un tacchino. Ci saremmo dimenticati della fatica fatta, ma non avremmo scordato quei 30 minuti.

Foto: http://www.operazionecolomba.it/galleries/colombia/2013/anziani/