Vamos a bailar

Colombia

Riconosco nell'oscurità della notte Edwin che, energico e frizzante come sempre, mi corre incontro gridando: “Vamos a bailar”, e ancora “vamos a bailar”.
Qui a San Josesito la musica è stata ri-accesa da pochi secondi dopo l'interruzione forzata provocata da una serie di spari, avvertiti in modo così chiaro e distinto da indurre a pensare che si trattasse di luoghi davvero vicini. Per me, occidentale, nuova volontaria, ingenua e inesperta, tutto questo è semplicemente sconvolgente, motivo di preoccupazione e ansia per ciò che sta accadendo o immagino, forse so, potrebbe accadere, e sento di avere la necessità urgente di un momento di raccoglimento interiore riflessivo e silenzioso.
Per loro, giovani e anziani, adulti e bambini, consapevoli o ignari, tuttavia abitanti nativi di questa terra colombiana, il mio “tutto questo” non è assolutamente nulla di nuovo. Tutto nella norma, semplicemente. Solo cinque minuti in cui, avvertendosi gli spari e dunque spegnendosi la musica, si ascolta una sorta di silenzio apparente e delicato, si osserva una strana forma di raccoglimento e attesa durante la quale probabilmente i meno giovani, la cui memoria storica è segnata anche da particolari credo politici e scelte di vita, vengono pervasi e avvolti da emozioni e sensazioni tanto forti quanto antiche e dolorose. Sicuramente la loro mente si è riempita di ricordi, immagini, momenti non facili da accettare e portare con sé, al tempo stesso non semplici da dimenticare o superare. Ma solo per poco, una manciata di minuti... poi tutto ritorna alla normalità, ammesso e concesso che questo tipo di quotidianità si possa definire normale!
Poi, anche loro raccolti in un'attesa silenziosa impaziente e piuttosto tesa, ci sono gli adulti, figli e genitori al tempo stesso, forse già nonni: per loro questo conflitto credo significhi, in una sola parola, perdita. Perdita di amici, familiari, terra, vita... Una perdita infondata, senza senso né spiegazione, a cui si è, incredibilmente, abituati e rassegnati; perdita connotata dalla totale mancanza di una motivazione e di un credo politico di sostegno profondi, perdita che si spera possa non connotare il futuro e l'esistenza di questo paese, la vita stessa dei propri figli. E per questo si esce dalle case, ci si mette in attesa e in ascolto di ciò che è appena accaduto e potrebbe (speriamo di no) continuare a verificarsi.
I soli a non capire, vedere, percepire, forse solo apparentemente, l'importanza e la delicatezza di questa raccolta silenziosa, paiono essere i bambini: bambini come Edwin, semplicemente vispi e pieni di vita, bambini allegri e spensierati, bambini che nonostante tutto, continuano a voler giocare e perseverano nel farlo come se nulla fosse successo. Bambini felici all'idea di poter ricevere un “confite”, che chiedono solamente di poter disegnare e colorare le stampe che, per loro, prepariamo; bambini che amano trascorrere i loro pomeriggi nella nostra casa a giocare con i giochi di società di paloma...

Bambini che, in fondo, chiedono solo di poter essere bambini e come tali comportarsi. Bambini a cui sfugge il senso di questo “stop ai giochi” nonostante ne abbiano l'evidenza davanti agli occhi ogni giorno e ne portino spesso cicatrici profonde e molto dolorose. Bambini il cui solo desiderio, gridato a gran voce nel mezzo di una corsa il cui scopo è saltare in braccio ad un volontario e rubargli un abbraccio, la cui unica richiesta è: “Vamos a bailar?”