La rivoluzione della Ruana

Colombia

A partire dalla seconda metà di agosto la Colombia è stata colta da quella che i media nazionali hanno etichettato come 'Rivoluzione della Ruana', il tipico poncho indossato dai contadini colombiani, poiché proprio loro sono i protagonisti di un'ondata di scioperi che sta attraversando l'intero Paese come non accadeva da almeno vent'anni.

Questa manifestazione è la conseguenza del disagio, perpetrato nel tempo, di un ampio strato sociale che ha scelto di rivendicare, in forma imponente ma pacifica, i propri diritti difronte al sistema governativo.
Un sistema concentrato a formulare politiche economiche per il mantenimento della nazione nei ranghi dell'esportazione mondiale (senza troppo riguardo per l'etica di produzione delle multinazionali acquirenti dei terreni), focalizzato sulle campagne elettorali in vista delle elezioni presidenziali del prossimo anno e, anche per questo, incentrato ad accelerare i negoziati di pace in corso all'Avana; ragioni che lo rendono quindi incapace all'ascolto o, meglio, volutamente sordo, proprio rispetto a coloro che dovrebbe rappresentare.

Dall'analisi di articoli riportati nel settimanale colombiano Semana emerge quanto, nell'essenza, si tratti di qualcosa di più che uno sciopero nazionale nato nelle zone rurali ma bensì di una protesta sociale, ramificata in vari settori, ciascuno con specifiche motivazioni e richieste, che quindi evidenzia un malessere generale, sfociato in qualcosa che se era partito come una battaglia a difesa della terra si è presto trasformato in una lotta che attraversa l'intera Colombia.
In previsione dello sciopero generale,  ma soprattutto vista l'incapacità di frenare l'iniziativa collettiva, il governo ha inizialmente risposto con una circolare del ministero degli interni indirizzata ai governatori e ai sindaci delle 'zone calde' affinché si mantenesse  l'ordine cittadino per  arrivare infine a muovere pesanti accuse riguardo presunte infiltrazioni delle FARC all'interno del movimento di protesta.
Le tensioni tra le parti sembravano allentarsi alla proposta di una tavola di negoziazioni tra rappresentanti dei contadini (Ascamcat) e una commissione di alto livello di Bogotà, se non fosse che una settimana di dialogo non ha sortito effetto alcuno e i sedici punti di discussione (dieci petizioni contadine e sei governative) sono rimasti allo stato embrionale.

ANATOMIA degli SCIOPERI
Il 19A, così è stato battezzato lo sciopero dai suoi stessi promotori (la data di nascita del movimento, il 19 agosto), vede la propria origine nella mobilitazione dei 'cafeteros' (proprietari terrieri delle coltivazioni di caffè) il cui malcontento deriva dal mancato rispetto di accordi precedenti allo sciopero presi con il governo il quale si impegnava in contributi per circa ottocento milioni di pesos; promesse difficili da mantenere per il governo Santos poiché l'intero settore agrario reclama sussidi statali, sentendosi minacciato dalle conseguenze degli ultimi Trattati di Libero Commercio.
A questa arteria del mondo contadino, fautrice della mobilitazione, si sommano altri due gruppi appartenenti all'associazione della cosiddetta Dignidades: i 'cacaoteros' (produttori di cacao) e i 'paperos' (produttori di patate), insieme poi ai produttori di cipolle, frutta e latticini, tutti mossi dal denominatore comune della 'difesa della produzione nazionale', minata dal crescente squilibrio tra i costi di produzione (in particolar modo quelli dei fertilizzanti) e i miseri introiti derivati dalla vendita delle merci.
Ciò che però colpisce è che tra chi ha risposto alla 'chiamata agraria' si contano anche altre fasce di lavoratori, tra cui l'Associazione Colombia de Camioneros, in continua lotta con il governo per la costante crescita delle tariffe dei carburanti; ultimi, ma non in ordine di importanza, anche gli addetti al settore sanitario hanno annunciato la paralisi delle loro attività fatta eccezione per i soli casi di emergenza.
Insomma a tutti gli effetti sembra trattarsi di una sollevazione sociale sincronizzata, causa un consesso istituzionale che in questo panorama di tensione e interessi (talvolta personalistici) da tutelare, mostra più la capacità di negoziare imponendo la sua autorità, che la volontà di intraprendere un cammino di dialogo con la nazione.

RADICI
Ad un primo sguardo sulla struttura degli scioperi sorgono spontanei i parallelismi con i movimenti che nel corso del 2013 hanno caratterizzato diverse zone geografiche del mondo, dalla prima ondata in Egitto alla più recente in Turchia, dagli Indignati di Spagna e Stati Uniti, ai vicini di casa del Brasile.
Diventa quasi facile supporre che questi scioperi potrebbero essere solo la scintilla di una  'primavera colombiana' che non avrebbe come unico scopo quello della soluzione delle problematiche nel breve termine, bensì possiederebbe la lungimiranza per guardare verso profonde trasformazioni democratiche.
La protesta ha segnato il terzo anno del mandato di Santos, trovatosi ad affrontare rancori del passato che lasciati accumulare hanno finito con esplodere, tanto nel contesto rurale quanto in quello urbano. Nonostante ciò il governo non è riuscito a dare un'interpretazione adeguata agli eventi o a costruire un dialogo con la cittadinanza i cui simbolismi potessero generare aspettative di maggiore fiducia; anzi, inizialmente, l'Esecutivo addirittura ha cercato di travisare la natura delle rivendicazioni e soprattutto di minimizzarne gli effetti.
Proprio per questa ragione le prime conseguenze degli scioperi lasciano una serie di lezioni: una rivolta direttamente alle alte sfere, dove questa crisi evidenzia la mancanza di compattezza nelle sale del palazzo presidenziale e quindi l'incapacità di prendere decisioni in concerto, mostrando una classe politica pericolosa per la salute del Paese; l'altra marca la colpevolezza dei governatori locali i quali, vista la natura prevalentemente regionale delle manifestazioni, invece di limitarsi a sollevare critiche contro il governo, avrebbero dovuto raccogliere le ragioni dei loro rappresentati e mediare nel loro interesse.
La falla sta quindi nelle fondamenta: manca un collegamento tra la base e la sommità delle gerarchie del potere che, non comunicando tra loro, non riescono a costruire un sistema coerente di domanda e offerta con la popolazione.
I punti dell'agenda messi in evidenza grazie agli scioperi possono raccogliersi in tre macro insiemi: un modello agrario adatto al Paese, che sia redditizio e nel quale possano rientrare tutte le categorie di produttori da definire attraverso una mirata politica di Stato; una rete di infrastrutture che migliorino il raggiungimento delle campagne e che quindi diminuiscano i tempi e i costi per la raccolta migliorando anche la catena commerciale che vede sempre i contadini come l'anello debole; e infine la ricerca di un sistema di commissioni ad hoc che consenta di anticipare l'esplosione di altre future rivoluzioni, concentrandosi da subito sugli aspetti condizionanti, ossia i costi dei fertilizzanti, la mancanza di incentivi, la negazione di prestiti bancari, l'aumento delle importazioni internazionali e il contrabbando.
Del resto, per prendere le decisioni corrette, è necessaria una profonda conoscenza dell'economia agraria, conoscenza che si forma anche e soprattutto dalla trasmissione dell'esperienza diretta di chi l'agricoltura 'la fa e non la scrive', senza per altro limitarsi ad addossare tutta la responsabilità della crisi del Paese ai TLC (Trattati di Libero Commercio).
In effetti uno dei problemi maggiori delle campagne, ultimamente, riguarda la perdita di rendita monetaria, le cui cause sono multiple e differenziate per i vari tipi di coltivazioni, ma in generale la causa madre sta nella forbice che va sempre più allargandosi tra l'aumento dei costi di produzione e l'abbassamento dei prezzi di vendita, soprattutto per i campi di estensione ridotta.
Per altro i produttori lamentano il fatto che ad oggi l'equazione si è invertita, non sono più loro ad indicare i prezzi delle merci, ma sono i grandi industriali a determinarli in base alle quantità acquistate; è paradossale che, mentre a livello mondiale i costi degli alimenti si mantengano alti se non aumentano (da ricerche FAO), gli agricoltori colombiani non si vedono favoriti da questa circostanza, e secondo loro il motivo è che gli intermediari della catena commerciale si impossessano dei ricavi che dovrebbero essere destinati a chi produce direttamente.
L'aspetto più ambiguo però, e quindi inaccettabile, è il fatto che il Governo era da tempo seduto di fronte a questo panorama, e avrebbe potuto proporre ben prima le soluzioni che solo adesso vengono offerte ai contadini per mitigare gli effetti di questa prolungata inettitudine, la cui unica conseguenza positiva è l'attenzione finalmente rivolta verso un settore di fondamentale rilevanza economica per la Colombia, e la speranza che la classe dirigente inizia a prendersi le sue responsabilità, passate e future.

UNA LENTE DI INGRANDIMENTO
Per quanto riguarda la zona di San José di Apartadò, dove è presente Operazione Colomba, regione di Antioquia, a nord est del Paese, si rileva una situazione ancora più disarmante.
I contadini di questo distretto, non solo ricevono minacce di morte dai paramilitari come deterrente alla partecipazione agli scioperi, ma anzi vengono accusati dall'esercito di essere militanti delle FARC, strumentalizzando così la manifestazione per deviare l'attenzione dell'opinione pubblica.
Inoltre le forze dell'ordine e gli esponenti politici locali, quali lo stesso sindaco della città di Apartadò e il Governatore di Antioquia, seguono negando l'esistenza dei gruppi armati irregolari come la AUC e quindi la responsabilità di questi nella 'psicologia del terrore' che invade quest'area da un tempo smisurato.
Neppure l'intervento della Commissione dei Diritti Umani e le testimonianze dei vari gruppi di accompagnanti internazionali presenti in loco, sembrano sufficienti a confermare la continue vessazioni subite dai contadini e ad attuare quindi misure di tutela nei confronti dei civili.
Ciò non toglie che, nonostante il livello di omertà diffuso e la reticenza dei suoi stessi governanti, la Colombia sta vivendo un momento storico che ha il sapore della svolta, visibile anche dalla risonanza mediatica che gli eventi correnti stanno avendo a livello mondiale.
In passato raramente le vicende dell'America Latina hanno occupato le pagine della stampa internazionale, mentre in questi giorni la 'Rivoluzione della Ruana' fa il giro delle testate  oltreoceano.

''La Colombia è uno Stato sociale di diritto, organizzato in forma di politica unitaria, decentralizzata, con autonomia delle sue entità territoriali, democratica, partecipativa, e pluralista, fondata sul rispetto della dignità umana, sul lavoro, sulla solidarietà delle persone che lo compongono e sulla prevalenza dell'interesse generale''.

Così recita l'articolo primo della Costituzione della Repubblica Colombiana, la gente è scesa nelle strade per iniziare ad interpretarlo, ora resta da vedere chi, e come, deciderà di camminare al suo fianco.