Seminare speranza

Colombia

In questo anno, in cui siamo stati invitati ancor di più ad una riflessione sulla fede, vorrei dar voce alla dura vita di questi contadini che da decenni subiscono la violenza del conflitto, dello sfollamento, dei barbari omicidi in nome del potere e degli interessi economici di governi e multinazionali. Vorrei essere umile abbastanza per rendermi capace e degna di scrivere a riguardo delle ferite altrui e della grandezza e della dignità della lotta che questi contadini stanno facendo.
Credo che oggi più che mai, in un momento di così grande incertezza economica e di valori,  tutti noi abbiamo bisogno di coerenza e coraggio per affrontare i lati indifesi di noi stessi, delle nostre paure, delle nostre insicurezze. Per questo, vivere in una comunità, come questi contadini, così come in  una comunità parrocchiale, può aiutare a sentirsi uniti in un mondo che tende invece a dividere per paura di condividere. Nessuno è mai divenuto più povero ripartendo ciò che possiede, ma tutti diventiamo miseri quando cerchiamo di arricchirci a spese degli altri.
Io, insieme ad altri giovani volontari, camminiamo a fianco di uomini, donne e bambini colombiani  sostenendoli nel loro tentativo fermo di cercare  giustizia, nel loro anelito di pace; una pace che non sarà frutto di un cessate il fuoco ma di una equità sociale, di una fraternità che riconoscerà la pienezza del cuore più importante di quella del portafoglio.
L’ingiustizia sociale sembra essere entrata in mille angoli della nostra vita, nelle strade delle nostre città, ma qui essa si traduce spesso nella morte di contadini innocenti il cui desiderio di coltivare la terra per sopravvivere si infrange nella bramosia di pochi di possedere il tutto e a qualunque costo.
Quelle terre fangose, dove i nostri piedi a fatica si trascinano per raggiungere i villaggi più lontani nella foresta, rappresentano bene il cammino di chi vive una fede solida, rocciosa.
Nonostante il timore di essere uccisi, di saltare su una mina, al durissimo lavoro nei campi, all'insicurezza di garantire il cibo alla famiglia, questa gente non smette mai di portare dentro al proprio cuore la sicurezza che Dio è con loro, che li accompagna qualunque cosa accada.
Di fronte a tanto dolore mi chiedo spesso come sia possibile che dalle loro labbra non escano mai parole di odio e vendetta nei confronti di chi fa loro del male, che mai si scoraggino e dopo ogni caduta siano sempre pronti ad alzarsi e continuare il cammino. Tra le pareti della baracca in cui vivo, o nelle notti passate nell'amaca appesa sotto i tetti di paglia, o tutte le volte che trascorro le mie giornate nella foresta senz'acqua e luce, mai ho sentito affievolirsi la luce della loro fede.
Così la mia di fede, che a volte inciampa sulle pietre del mio andare, viene quotidianamente scossa e rinforzata dal loro esempio, dal loro coraggio.
Ogni azione che svolgono viene affidata alle mani del Padre, a ogni calar del sole Lo si benedice; persino la consapevolezza che quest'oggi potrebbe essere per loro l'ultimo a causa della violenza, viene rimandata al mistero della vita e alla certezza che la giustizia viene da Dio: è l'affidarsi che diventa preghiera.
Un giorno chiesi ad una donna di quasi sessant'anni a cui erano stati uccisi due figli e due fratelli dove trovasse tanta forza per sorridere alla vita. Lei mi rispose con la sua semplicità o meglio con la  sua  fede profonda, che i semi dell'albero di mango ci impiegano anni prima di crescere e dare frutti, ma che se anche lei non avesse mai potuto gustarne uno, comunque il seme lo avrebbe piantato!
Così credo che la fede permetta di seminare speranza, pace, amore, giustizia... quantunque forse noi non riusciremmo a vederne i frutti siamo in ogni caso chiamati a non lasciare nessuno di questi semi nella saccoccia.
Poter vivere la mia vita con questi poveri è una dono grande del Signore, è monito costante a crescere e maturare una fede che mi richiami  a  scegliere ogni giorno la semplicità del Vangelo nella via della pace e della giustizia.

Monica Puto