Viaggio conoscitivo: Mapiripan – Puerto Asis - Buenaventura

Colombia

Dopo quasi sei anni di presenza di Operazione Colomba come Corpo Nonviolento nella Comunità di Pace di San José, si è creata l'opportunità di fare un viaggio di monitoraggio in altre zone del Paese dove altri gruppi di resistenza contadina ed indigena stanno da tempo portando avanti la loro lotta di resistenza.

In questo momento storico che vede il Governo e le FARC seduti al tavolo degli accordi di Pace, paradossalmente si fa ancora più forte l'esigenza di molti colombiani di cercare una risposta alternativa a quella che (tutti sanno) sarà l'invasione delle multinazionali nel Paese sudamericano. Chi crede che la Pace non ci sarà senza che vi sia giustizia, sa bene che la firma del trattato alla Avana più che un accordo di Pace è un accordo economico. Una spartizione del territorio tra poteri e imprese nazionali e straniere che vedono la parola Pace in funzione del termine denaro.
Se a San Josè la Comunità di Pace sta denunciando da mesi i torbidi legami tra i paramilitari e le opere di infrastrutture (la strada da Nueva Antioquia, La Esperanza e Rodaxalì, la scuola in costruzione a San Josè, ecc.), per favorire la futura impresa mineraria, in altre parti del Paese purtroppo le opere sono già terminate o moltiplicate e nel peggiore dei casi le imprese hanno già devastato il territorio e sfollato la gente per mettere in moto la macchina dell'estrazione mineraria. 
Il viaggio di due volontarie di Operazione Colomba è stato realizzato in alcune realtà colombiane accompagnate dalla Commissione Interecclesiale di Giustizia e Pace di Bogotà nel sud del Paese, per conoscere e vedere con i propri occhi quale è il vero volto del cosiddetto sviluppo economico.


Mapiripan (Meta)
Per raggiungere Mapiripan è necessario attraversare il llano oriental (pianura orientale) del Meta, una savana immensa che si estende per circa 300.000 kmq. La flora è quasi assente se non in prossimità di lagune d'acqua dolce o piccoli fiumiciattoli. Il terreno è praticamente sabbioso e nella stagione delle piogge, per 8 mesi all'anno, si trasforma in una melma fangosa con tratti molto ardui da superare per i mezzi in tragitto. Il paesaggio della savana appare poi improvvisamente diverso, una volta  arrivati alla proprietà conosciuta come Macondo, dal 2008 proprietà di Poligrow LTDA, per la presenza di infinite piantagioni di palma africana (da cui si estrae l'olio per il biocombustibile) per un'estensione di circa 7000 ettari.
Il dramma causato dalle multinazionali di biocombustibile e petrolio nel municipio di Mapiripan (il più grande del Meta), non è di dominio pubblico, mentre lo sono i grandi investimenti nella regione da parte delle imprese multinazionali. Nonostante diversi enti nazionali, tra cui il Ministero dell'Agricoltura e la Superintendenza Notarile avessero evidenziato delle irregolarità nell'acquisto dei terreni da parte delle multinazionali a Mapiripan, tutto è rimasto insabbiato.
Sulle ombre riguardo la compravendita di queste terre esistono delle denunce fatte anche attraverso Verdad Abierta e La Silla Vacia, ma ciò che più conta è la testimonianza diretta delle famiglie che hanno subito minacce di morte e lo sfollamento forzato da parte dei paramilitari assoldati dalle imprese.
Così come lo raccontano le comunità indigene di etnia Jiw o Guayabero e Sikuani che da secoli vivono in quel territorio dedicandosi alla caccia e alla pesca in quanto, essendo il terreno praticamente arido, risulta improduttivo a meno che non si investa una grande quantità di denaro per la fertilizzazione. In ogni caso le due tribù indigene culturalmente non si sono mai dedicate al lavoro ma raccolgono e vivono di ciò che la natura offre loro. Nei punti infatti dove esistono fonti d'acqua la vegetazione è più folta e si possono cacciare animali come il chiguiro (un roditore) e pescare abbondantemente nel rio Guaviare o nelle vaste pozze d'acqua dolce, chiamate lagune.
Da quando nel 2008 la multinazionale Poligrow, l'impresa petrolifera Pacific Rubiales e la Proaves si sono impossessate di gran parte del loro territorio, il sostentamento e la sopravvivenza degli indigeni è stata messa in serio pericolo. I terreni reclamati dalle tribù come propri, si trovano ora  recintati con filo spinato per proteggere le coltivazioni di palma con cartelli che ne proibiscono il passaggio, la caccia e la pesca. Le famiglie vivono in modeste case e si nutrono fondamentalmente di una farina di yuca che bagnata nell'acqua, semplicemente gonfia la pancia calmando il senso di fame. 
Lasciamo il paesino di Mapiripan (circa 2500 abitanti) alla mattina presto per raggiungere Macondo; appena fuori dal paese vediamo gli operai occupati a trasportare con i trattori i semi della palma. Ci vengono mostrati i punti in cui l'impresa ha fatto chiudere la strada principale obbligando la popolazione a deviazioni di chilometri perché non vedessero i lavori durante la prima fase della semina di palma. Oggi le sbarre non ci sono più ma fino a qualche mese fa erano controllate da uomini  armati. In molte strade laterali secondarie è ancora vietato l'accesso.
Proseguiamo il viaggio lasciando alle spalle la savana e molto di più.

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Puerto Asis (Putumayo)
Prima di giungere a Neiva, capoluogo della regione del Huila, si attraversa per circa un'ora la regione del Tolima, nota per i numerosi progetti di estrazione mineraria (oro) che da anni ne stanno distruggendo il territorio. Anche qui vaste distese disabitate e un paesaggio brullo che contrasta fortemente con le terre del Huila, fertili, con grandi fattorie per l'allevamento di bestiame, con strade asfaltate e in ottime condizioni.
Lungo il percorso, impossibile non fermare lo sguardo sulla diga di Betania e poco più avanti sui lavori per la costruzione della diga del Quimbo, finanziata da ENEL, che vedrà lo sconvolgimento del fiume Magdalena. Quando la valle verrà inondata si avrà una trasformazione radicale del territorio che provocherà un danno economico in relazione soprattutto alla pesca e all'allevamento di diverse specie ittiche di cui questa regione è la maggior esportatrice, per non parlare dello sfollamento della gente e dei danni ambientali che causerà.
Dopo molte ore di viaggio finalmente si raggiunge Puerto Asis (basso Putumayo) fondata nel 1902 da una missione di frati cappuccini. Da qui il nome della città e di un altro paese vicino, Puerto Umbria. Puerto Asis da almeno 10 anni è sotto controllo del gruppo paramilitare degli Urabeños che hanno tolto il controllo del territorio allo Rastrojos. Le FARC da anni controllano le zone rurali e gli scontri tra la guerriglia, l'esercito e i paramilitari si susseguono senza sosta da decenni al fine di mantenere il dominio su una terra ricchissima di petrolio e non solo. La parte nord del Putumayo (Alto Putumayo) facente parte da sempre della regione amazzonica, nel 2010 (attraverso la Legge Organica del governo Santos) è stata  ridefinita per ben l'80% come area non amazzonica! La vera ragione di tale diniego è legata all'avanzamento delle opere di estrazione petrolifera della Ecopetrol, presente sin dal 1960 nella regione, e che vede un progetto di sviluppo centuplicato che coinvolgerà tutto il Putumayo. La necessità di trasportare tutto questo oro nero prevede inevitabilmente la costruzione di strade e vie di comunicazione fluviali.
Una di queste vie riguarda il fiume Putumayo dentro il progetto IIRSA che nasce ufficialmente nel 2000 a Brasilia, nel corso di un vertice dei Presidenti dell’America del Sud, come proposta di investimento a sostegno dei trattati bilaterali e regionali di libero commercio. L’obiettivo principale è la costruzione di infrastrutture logistiche (grandi vie di comunicazione terrestri e fluviali, porti, aeroporti, ma anche nuove centrali energetiche, oleodotti, ecc), per rendere più efficiente l’estrazione delle risorse naturali del Sudamerica e facilitare il trasporto delle merci, dentro e fuori dal continente. L’Idrovia del Putumayo comprende Colombia, Perù, Ecuador e Brasile, e pretende di integrare le zone produttive della Colombia con quelle amazzoniche attraverso il fiume Putumayo che sarà dragato per incorporare il nord dell’Ecuador. Tutte queste infrastrutture vengono portate avanti attraverso l'indebitamento del Paese nei confronti degli Stati Uniti o attraverso la vendita di imprese statali avvenuta sia nel periodo di governo Uribe che in quello Santos, provocando l'aumento dell'imposta sui servizi basici alla popolazione civile.
Ad oggi, quello che si vede lungo le strade piccole e tortuose di questa regione, sono centinaia di cisterne (che qui vengono chiamate mule, di cui almeno 400 al giorno partono da Puerto Asis) che raggiungono il porto di Tumaco (nella regione di Nariño) per poi viaggiare per Stati Uniti ed Europa. Nella stessa Puerto Asis sono 4 i pozzi petroliferi attivi con un progetto di ampliamento a 55 pozzi. Lungo la strada, per tutto il percorso, interminabili chilometri di tubi che collegano i pozzi alle cisterne di raccolta del petrolio. L' oleodotto è stato costruito in superficie e in prossimità delle abitazioni e attraversa grandi fiumi e ruscelli. I pozzi ed i depositi sono controllati e protetti dall'esercito mentre gli attacchi della guerriglia a tali infrastrutture  sono sempre più numerosi.
A due ore da Puerto Asis raggiungiamo Orito, dove diverse comunità indigene Nasa stanno lottando contro le imprese del petrolio che, senza rispetto di leggi e diritti, invadono ed iniziano processi di esplorazione e trivellazione della foresta.
I punti sui quali potrebbe essere possibile impedire l'avanzata dell'Ecopetrol trovano riferimento nel decreto 2811/79 che tutela l'impatto ambientale e dà elementi concreti alle comunità indigene e contadine per presentare ricorso all'azione dell'impresa. L'esistenza di animali in via di estinzione o protetti come l'Oso Antiojo, Guacamaya, Danta e di importantissime sorgenti d'acqua, sono tra questi elementi.
Ecopetrol, negli ultimi anni sta investendo per la costruzione di strade per il transito delle proprie cisterne lasciando il municipio di Orito sprovvisto di qualsiasi altro tipo di miglioramento di ordine sanitario ed educativo. Nella cittadina non esiste un acquedotto e a maggior ragione la tutela delle fonti d'acqua e della cordigliera è l'unica garanzia della popolazione di poter disporre di acqua potabile non contaminata e di sostenersi con la pesca che in questi fiumi è abbondante. Purtroppo le imprese petrolifere a causa della corruzione di enti pubblici e forza pubblica non vengono mai controllate dal Ministero dell'Ambiente rispetto alle regolarità del loro operato. Un solo esempio per capire la tragedia annunciata dagli stessi indigeni Nasa, è data dal fatto che qualunque pozzo deve essere distante almeno 25 metri dalle fonti d'acqua (per l'estrazione ne servono quantità esorbitanti) e i residui fluidi devono essere purificati prima di essere immessi nuovamente nel corso d'acqua. Nessuna di queste norme viene rispettata e sono migliaia le testimonianze che raccontano della moria di centinaia di specie ittiche e faunistiche e dell'inquinamento delle risorse idriche.
Tutto questo è appoggiato da un apparato giuridico consistente in leggi ad hoc che approvano permessi e concessioni minerarie senza tener conto delle conseguenze per l'ambiente e per le popolazioni che vi abitano. Il livello di corruzione è tale che, di tutta l'estrazione petrolifera, nel 2013 solo il 14% del petrolio è rimasto in Colombia mentre in Paesi come Ecuador e Bolivia almeno il 50% rimane nel Paese. Le imprese regalano azioni a politici e istituzioni per far sì che non si cambino la normativa in merito.

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Buenaventura (Valle del Cauca)
Dal meraviglioso mare verde della foresta amazzonica giungiamo alla città di Cali per poi proseguire verso la costa del Pacifico. Il porto di Buenaventura è la nostra meta, porto il cui ammodernamento e ampliamento è la causa di tanta violenza subita dalla popolazione afrodiscendente della costa. La città, di 450.000 abitanti circa, è composta per l'80% da afrodicendenti, 17% meticci e il 3% da popolazione indigena. Il tasso di povertà raggiunge l'80% della popolazione e la disoccupazione è del 64%. Buenaventura però è inspiegabilmente il simbolo dell'alleanza del pacifico tra Cile, Messico, Perù e Colombia anche se in realtà non è in grado di sostenere né il movimento mercantile, né tantomeno la viabilità attuale può garantire il transito dell'80% dell'oro che la Colombia esporta proprio attraverso questo porto. Da qui la necessità di cambiare "faccia", di ampliare e rendere Buenaventura un porto adeguato. I paramilitari che tengono la città in mano sin  dagli anni '80, prima con La Empresa ed ora con gli Urabeños, hanno iniziato così, appoggiati da un'amministrazione corrotta, a controllare tutti gli appalti per i lavori di ammodernamento. In tale piano era previsto anche lo sfollamento di migliaia di abitanti che da decenni vivevano in palafitte lungo la costa sopravvivendo grazie alla pesca. Lo sfollamento è stato brutale, con omicidi, minacce e la creazione delle "casas de pique" dove la gente veniva squartata viva, fatta a pezzi e gettata in mare. I continui scontri tra i gruppi armati illegali nella città, la collusione tra gli stessi e la forza pubblica e la pressione delle FARC nelle zone rurali, hanno reso negli anni il porto di Buenaventura un luogo invivibile.
E' così che un gruppo di famiglie di Puente Nayero, uno dei tanti quartieri della città sorto dalle ceneri di grandi discariche di immondizia, ha deciso con l'aiuto della Commissione Interecclesiale di Giustizia e Pace, di aprire il primo spazio umanitario urbano. La loro vita infatti era divenuta impossibile per l'ingresso, dal novembre del 2013 nella via principale chiamata San Francisco, di un gruppo paramilitare che aveva occupato due case su quella stessa via, di cui una era una “casa de pique”. Ogni sera alle 6 la gente era costretta a ritirarsi in casa per ripararsi dalle sparatorie quotidiane generate dalla faida dei diversi gruppi paramilitari che si contendevano il quartiere. La gente di Nayero che abbiamo incontrato, racconta di come i bambini ripetessero, durante il giorno, le scene e gli atteggiamenti dei paramilitari che sparavano, minacciavano e li obbligavano a introdurre armi o droga per loro conto. Le poche botteghe e attività di sostentamento venivano collassate dalla continua richiesta del “pizzo”, tanto che all'inizio di quest'anno solo due sono rimaste aperte. Lo spazio umanitario è costituito da 302 famiglie per un totale di 1020 persone di cui la maggior parte sfollate circa 50 anni fa da villaggi sorti lungo il fiume Naya (da qui il nome Puente Nayero)  per  ragioni sia economiche che legate al conflitto. La maggior parte degli abitanti dello spazio umanitario vive di pesca e della vendita di mango e chontaduro. L'energia elettrica non sempre viene erogata così come l'acqua potabile non raggiunge tutte le case e quando lo fa, è attraverso piccolissimi tubi pieni di infiltrazioni che la rendono contaminata. Il coraggio di questa gente, la determinazione dei suoi accompagnanti e la messa a conoscenza al mondo di quello che veramente sta accadendo a Buenaventura ha permesso che nello spazio umanitario si vivano ora mesi di maggior tranquillità e normalità. Nonostante le minacce e il sapere della costante presenza dei paramilitari nella città, nonostante i giovanissimi leader sappiano di rischiare la vita nel denunciare i soprusi, nonostante i poliziotti ed i militari che sorvegliano i due ingressi dello spazio umanitario (uno via terra e uno via mare) non siano certo uomini di fiducia, finalmente dopo tanti anni anche a Puente Nayero il Natale lo si potrà vivere con le gente, le danze e la gioia del popolo afrodiscendente. 

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