Le radici del conflitto armato in Colombia

Colombia

Dall'inizio del 2013, all'interno dei colloqui di pace in corso all'Avana, la guerriglia ha sollecitato la creazione di un meccanismo volto a chiarire le radici del conflitto armato in Colombia. Dopo molte riunioni, il Governo e le Farc si sono accordati sulla formazione di una Commissione, di appoggio alla negoziazione in corso a Cuba, riguardo la discussione dei temi delle vittime e della giustizia. Si è, inoltre, definito che la Commissione raccogliesse le differenti visioni sul conflitto senza la pretesa di convertirle in una “storia ufficiale”.
A fine mese è stato quindi reso pubblico un documento sul conflitto armato colombiano elaborato da 12 noti intellettuali del Paese, una metà scelti dal Governo, l'altra metà dalle FARC.
Il sacerdote gesuita Javier Giraldo Moreno, accompagnante della Comunità di Pace di San Josè di Apartadò, è stato tra i 12 intellettuali interpellati per la stesura della tesi sulla genesi di questa guerra. Di seguito riportiamo un riassunto del documento stilato da padre Javier Giraldo sull'origine, la persistenza e gli impatti del conflitto armato colombiano.

Quando cominciò la guerra in Colombia? Perché permane? Quale impatto ha avuto sulla popolazione?
C'è una grande convergenza tra gli storici nel collocare l'inizio del conflitto armato che ancora affligge la Colombia, nei decenni che vanno dal 1920 al 1960, con una intensificazione tra gli anni '40 e '50 fino ad arrivare al 1964, con la formazione di FARC, ELN e EPL. Le espressioni della lotta armata di quel periodo si ubicano in zone rurali di varie regioni e hanno come principale protagonista la popolazione contadina: l'accesso alla terra è il detonatore principale ed è relazionato intimamente alle principali necessità di base degli uomini: l'alimentazione, l'abitazione e il lavoro/salario (salute ed educazione).
La carenza di terra dove il contadino potesse coltivare gli alimenti e vivere in modo autonomo si traduceva in una dipendenza forzata dalle grandi proprietà terriere, in condizioni lavorative di schiavitù e inumanità.

Alcuni attribuiscono l'intensa violenza che vive il Paese nei decenni dal 1930 al 1960 a conflitti ideologici-politici, taluni focalizzando l'attenzione sulle ostilità interpartitiche tra liberali e conservatori, altri segnalando come motore di spinta del conflitto nuove ideologie politiche socialiste o comuniste. Nessuno può negare il rivestimento partitico e ideologico che ha avuto questa violenza, soprattutto, nei decenni degli anni '40 e '50; però chi vuole comprendere a fondo le sue radici non può rimanere a questi livelli superficiali. Certamente la lotta per la terra si è vista mescolata e aggravata dall'odio tra le parti, per l'ideologia anticomunista del governo e dei partiti che lo controllavano. Nonostante ciò, tra i tanti fattori di violenza che si incrociavano, quello più obiettivo, se si analizzano le condizioni reali della vita della gente, è il problema della terra.
Il contesto vicino alla nascita della insurrezione armata, che ancora persiste, ha a che vedere con quanto successe in varie regioni nel 1964 quando, operativi militari di enormi dimensioni cercarono di annichilire concentrazioni di contadini che avevano adottato forme di resistenza organizzate a difesa dei mezzi elementari di sopravvivenza, di fronte alla esclusione e alla persecuzione violenta di proprietari terrieri appoggiati dal potere vigente. La stigmatizzazione mediatica di queste comunità mediante la qualifica inadeguata di “repubbliche indipendenti”, il blocco di un dialogo di personalità politiche e sacerdoti con i contadini per conoscere i loro problemi e le loro proposte, la crudeltà delle torture e delle detenzioni e i perversi processi repressivi utilizzati, includendo armi chimiche e batteriologiche vietate in tutti i trattati internazionali, imposero una conclusione ineluttabile di illegittimità dello Stato. Da lì, il proclama ribelle delle FARC il 20 luglio del 1964; la nascita dell'Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), il 7 gennaio del 1965 e, nel gennaio 1974, la comparsa della struttura insurrezionale denominata Movimento 19 di Aprile (M-19). Infine, negli anni '80 apparvero altre nuove strutture insurrezionali, tra cui una di origine indigena.
E' quindi evidente che, dalla metà degli anni '60, la Colombia diventa teatro di una guerra interna.

In alcune zone, la brutale repressione dello Stato, spinge gruppi di persone a emigrare e a stabilirsi in zone selvatiche dove, nello stesso decennio, vengono organizzate coltivazioni di coca e si sviluppa il commercio di droghe illecite.
L'intreccio della “guerra contro la droga” e della “guerra contro la insurrezione”, entrambe orientate e monitorate dagli Stati Uniti (DEA e CIA), lascia spazio ad analisi molto contraddittorie.
A partire dagli anni '80, la fusione progressiva dei coltivatori di coca più potenti e dei narcotrafficanti con il paramilitarismo fa sì che la guerra assuma contorni ancora più drammatici. Il narco-paramilitarismo da il via a una enorme spogliazione di terre, attraverso massacri e sfollamenti massivi della popolazione, che causa circa 6 milioni di sfollati interni e usurpa all'incirca 8 milioni di ettari di terra. Nello stesso periodo, gli osservatori statunitensi coniano il termine di “narco-guerriglia” per giustificare il loro intervento sul conflitto sociale e armato in Colombia, violando così il principio del diritto internazionale sul non intervento in questioni interne di altri paesi.

Dopo 30 anni di sottrazione violenta della terra (1981-2011), senza contare i periodi anteriori non meno violenti, l'attuale governo Santos ha promulgato, nel 2011, la Legge 1448 che prevede meccanismi per la restituzione delle terre sottratte o abbandonate forzatamente, ma con sistemi talmente inefficaci che, se si era programmato di risolvere 160.000 casi, nei primi 4 anni di vigenza della legge, passati 3 anni, sono stati risolti solamente 1.434 casi, non arrivando nemmeno all'1% del programma stabilito.

Come si è affermato all'inizio, l'accesso alla terra è fondamentale per soddisfare almeno tre delle cinque necessità basiche dell'essere umano: l'alimentazione, l'abitazione e il lavoro/salario. Ancora più grave del fatto che lo Stato non abbia provveduto al soddisfacimento di queste necessità primarie, in maniera sistematica e strutturale per tutta una generazione, è il fatto che esso abbia represso con ferocia illegittima tutti i settori della popolazione che reclamavano con forza il loro diritto alla terra.
Il secondo obbligo di uno Stato, di fronte ai suoi cittadini, si fonda sulle relazioni di giustizia, ossia sulla creazione e sul mantenimento delle condizioni che impediscano a un gruppo di cittadini di escludere gli altri dal godimento dei loro diritti alla partecipazione, all'informazione e alla protezione. Al contrario, lo Stato colombiano si è trascinato, sin dalla sua configurazione come Stato indipendente, i tratti di una concentrazione perversa del potere che sono andati progressivamente aggravandosi e nei quali si sono originati la negazione dei diritti politici della grande maggioranza della popolazione, la produzione permanente di forme di violenza e la persistenza di un conflitto armato che si fa scudo della violenza repressiva dello Stato e la persecuzione dei movimenti sociali e di opposizione politica mediante gruppi criminali favoriti dal governo degli Stati Uniti, come il paramilitarismo.

Il meccanismo chiave che ha mantenuto e consolidato uno Stato non partecipativo è stato il controllo del sistema elettorale. Tutto il processo elettorale costituisce un evento economico che muove esorbitanti quantità di denaro. Questo significa che c'è una competizione estremamente disuguale per il potere. E' evidente che solamente chi investe molti soldi per candidarsi può ottenere la suo quota di potere.
Nonostante sia differente la percezione di alcuni settori più critici, dei movimenti sociali e di milioni di vittime (che in nessun modo possono vedere in questo modello di Stato le caratteristichle essenziali di una democrazia), il discorso ufficiale e diffuso attraverso i mass-media e le agenzie di stampa internazionali, spaccia il regime come “sistema democratico” e poggia su formalismi che non trovano applicazioni nella realtà.
Si arriva così alla attuale situazione paradossale nella quale, mentre un braccio dello stato sfolla e massacra, l'altro braccio statale denuncia, apre processi giuridici inutili e approva leggi di assistenza alle vittime.

Chiunque può percepire che in Colombia i mass-media non sono neutrali; che le “loro verità” sono, quasi sempre, molto lontane dalla realtà; che i fatti sui quali si basano le notizie sono molto selezionati e il modo di informare è manipolato da accordi che stigmatizzano determinate posizioni e ne idealizzano altre. La proprietà dei media è sempre stata in mano a persone e corporazioni private molto ricche e che hanno difeso il sistema imperante.
Una democrazia conta su due strumenti fondamentali per la protezione dei cittadini: l'apparato giuridico e la forza pubblica.
Per quanto riguarda la giustizia, la Colombia eccede per una esorbitante impunità generale, soprattutto di quei delitti e crimini che compromettono funzionari dello Stato e le frange del potere economico e politico, e per una arbitrarietà giudiziale che porta a privare della libertà, giudicare e incarcerare un gran numero di cittadini sottomessi a processi che non rispettano i requisiti minimi legali e che violano in modo sistematico le norme di giustizia contemplate nei trattati internazionali.

In un modello di Stato democratico, l'Esercito deve essere improntato alla difesa della nazione di fronte a nemici esterni, mentre la polizia civile deve vegliare per la protezione interna dei cittadini.
E' evidente che il modello di sicurezza che si implementa in Colombia obbedisce, già dagli anni '40, alle direttrici del governo degli Stati Uniti. La Colombia coscientemente e animosamente, attraverso i suoi governanti, ha accettato di lasciarsi incorporare in tutte le strategie previste dalla Guerra Fredda disegnata dagli Stati Uniti; ha firmato numerosi trattati di cooperazione con gli USA e ha ricevuto, e riceve tutt'ora, aiuti, addestramenti e armamenti. La Colombia è stato il primo Paese a firmare un Programma di Assistenza Militare con gli Stati Uniti (1952) e il primo a inviare personale militare per essere formato nella Latin American Ground School, fondata nel 1946 a Panama, poi trasferita a Fort Benning, Georgia, nel 1984 con il nome di Instituo de Cooperacion para la Seguridad Hemisferica.
Tutta la dottrina e le strategie imposte dagli Stati Uniti in questo periodo di relazioni sempre più strette e progressive (1938-2014) ha come focus la repressione del Movimento Comunista Internazionale, dove il profilo del “comunista” si identifica esplicitamente con il sindacalista, il contadino che non simpatizza o che si mostra ostile davanti alle truppe militari che entrano nei villaggi o nelle abitazioni, lo studente che partecipa a manifestazioni di protesta, il militante di forze politiche non tradizionali e critiche, il difensore di diritti umani, il teologo della liberazione e, in generale, il cittadino non conforme allo status quo.

Elemento chiave della strategia contro insurrezionale dello Stato è stato il paramilitarismo. La versione ufficiale colloca le sue origini negli anni '80 e lo relaziona con le reazioni di corporazioni facoltose che di fronte all'azione della guerriglia, hanno deciso di costituire eserciti privati per difendersi, denominati “autodefensas”.
Nonostante ciò, la vera origine del paramilitarismo, comprovato da documentazioni, si trova nella Misiòn Yarborough o visita in Colombia dell'ufficiale della Scuola di Guerra Speciale di Fort Bragg (Carolina del Nord), che ha lasciato un documento segreto, accompagnato da un allegato ultra segreto dove orientavano a formare gruppi misti di civili e militari, allenati clandestinamente e utilizzati nel caso in cui la sicurezza nazionale si deteriorasse.
I documenti e i manuali contro insurrezionali, prima tradotti in altri paesi e poi elaborati in loco, tenevano una matrice comune: la popolazione civile doveva essere coinvolta nella guerra, ora come combattente, ora come combattuto. Di fatto, il significato etimologico del termine para-militarismo porta a pensare a un gruppo che agisce “al lato di” militari e con attività che “deviano” in senso stretto l'azione militare.
Il paramilitarismo crea una zona grigia e indefinita che impedisce di percepire dove termina il militare e dove inizia il civile. Questa ambiguità è il cuore della strategia perché permette l'inganno.
Il decennio del 1980 vide una crescita esorbitante del paramilitarismo per l'impulso dell'alleanza con i maggiori narcotrafficanti dell'epoca e grazie ai quali le strutture paramilitari si moltiplicarono in tutto il Paese facendosi vanto di un potere crudele, di articolazioni sfacciate con le istituzioni dello Stato e di impunità insolenti. Il genocidio della Union Patriotica e di altri gruppi politici e movimenti sociali si produssero in questo contesto.
Un processo di pace fa riferimento obbligatorio alla pace, ma questa non può consistere in un mero meccanismo contrattuale di cessate il fuoco pagato con determinate controprestazioni. La Pace è un valore prima di tutto etico, spirituale, sociale e anche politico. Esige un clima adeguato, configurato attraverso altri valori profondamente connessi ad essa, come la verità, la giustizia, la tolleranza, il rispetto della vita di tutti gli essere umani e dei loro diritti fondamentali.
Nel dialogo in corso all'Avana il Governo ha preteso dalle Farc la consegna o l'abbandono delle armi, in modo tale che “non tornino a essere usate per fare politica”. Questo è un grande ideale, totalmente desiderabile. Però il Governo incarna il protagonista della parabola evangelica che “vede la paglia nell'occhio altrui, ma non la trave nel proprio occhio” (Lc. 6,41-42) poiché le armi dello Stato sono servite molto di più che qualsiasi altra per fare politica e, ancora peggio, massacrare gli oppositori e i reclamanti giustizia, per perpetrare genocidi di movimenti politici e sociali, per imporre col sangue e col fuoco le leggi, le strategie e le politiche escludenti, discriminatorie e perverse.

Serve un processo che chiarifichi ciò che si intende con “mettere fine al conflitto”.
Come afferma William Ospina (editorialista de El Espectador) in uno dei suoi articoli: “Sarebbe strano se il conflitto scomparisse bruscamente senza la necessità di modificare le deformazioni della democrazia che lo hanno reso possibile. L'insistenza del Governo che questa Pace non andrà a cambiare nulla di essenziale, annuncia che, ciò che si vuole, è mantenere lo stesso disordine che ha prodotto la guerra, la stessa ingiustizia che l'ha alimentata per decenni e la stessa povertà del popolo che l'ha sofferta, senza però più il disturbo che rappresenta il conflitto per gli interessi dei potenti”.
Un processo di pace che non tocchi il modello economico, come afferma il Governo e la sua delegazione a Cuba, non può essere credibile.