Intervento Jorge Molano - Processo 21 Febbraio 2015

Colombia

Jorge Molano è uno degli avvocati che sta seguendo il caso del massacro del 21 febbraio dove morirono Luis Eduardo Guerra e altri 6 membri della Comunità di Pace.
Nei giorni del 18º anniversario della nascita della Comunità, Molano ha presentato le varie fasi del processo e ha spiegato nel dettaglio come la Forza Pubblica e i paramilitari abbiano organizzato il massacro. Di seguito un sunto della sua esposizione.


“L’assassinio avvenuto il 21 febbraio non è stato un fatto accidentale, bensì un atto premeditato da parte delle autorità.
Prima del massacro, già dall’anno 1997, la Commissione Interamericana aveva dato l’ordine di proteggere la Comunità di Pace. Nell’anno 2000 la Corte Interamericana aveva detto allo Stato colombiano di proteggere la Comunità di Pace. Nell’anno 2004 anche la Corte Costituzionale aveva emesso una sentenza per proteggere la Comunità di Pace.
Tutti i sistemi di protezione erano stati attivati già prima del massacro; le autorità colombiane sapevano dell’imminenza di questi crimini e li permisero.
Esiste un precedente di rilevante importanza: il manuale dell’esercito colombiano, stampato nel 2002, intitolato “COMUNIDADES DE PAZ”, da utilizzare durante la formazione dell’esercito colombiano, pubblicato dalla "Escuela de Armas y Servicios” (Scuola di Armi e Servizi) di Bogotà.
All’interno del manuale sono riportate informazioni sulla struttura della Comunità di Pace, le sue origini, le sue caratteristiche e i suoi obiettivi.
Nell’introduzione si afferma: “per tale motivo è d’obbligo far conoscere agli altri soldati, per avere una maggiore conoscenza e manipolare queste comunità nell’ambito della guerra politica”.
L’esercito colombiano aveva quindi stabilito dal 2002 che la Comunità di Pace doveva essere manipolata da una logica di guerra politica. Avviene di conseguenza una stigmatizzazione della Comunità di Pace per farla apparire come parte del gruppo paramilitare AUC o dei gruppi sovversivi.
Esiste quindi una lettura istituzionale, dai manuali di formazione dell’esercito, che considera la Comunità di Pace come nemico.
Nel 2003 viene redatto un documento che include le considerazioni sulla Comunità di Pace, fatte dalla B2 (una sezione di intelligenza) della Brigata XVII, incaricata di svolgere un’analisi dei bersagli: il bersaglio-FARC, il bersaglio-paramilitare e il bersaglio-sociopolitico.
Dall’agosto 2003 si inizia a riscontrare l’esistenza di questo tipo di documenti e, nello stesso anno, Luis Eduardo Guerra viene “schedato”, per screditarlo, come difensore dei diritti umani, schedatura inviata agli addetti di Bogotà e Medellin, e in seguito anche alle istituzioni del governo nazionale e della comunità internazionale.
Molto più allarmante è il documento: “Attività programmate fuori dal Paese dalla Comunità di Pace per l’anno 2003”, in cui sono riportati i viaggi e gli incontri previsti.
È chiaro che è stato svolto un lavoro di intelligenza, precedente al massacro, su Luis Eduardo, sulla comunità e sulle persone della comunità, svolto non solo dalla Brigata XVII, bensì anche dal Dipartimento Amministrativo di Sicurezza (DAS).
Il 20 gennaio 2005 (30 giorni prima del massacro) il DAS redige un rapporto sui movimenti finanziari di Luis Eduardo Guerra, da ciò nasce spontanea la domanda: perché al DAS, 30 giorni prima del massacro interessava avere informazioni sui movimenti finanziari di Luis Eduardo Guerra, sui suoi spostamenti, e perché aveva ordinato di controllare le e-mail della Comunità di Pace e dei membri del consiglio senza un ordine giudiziario?
Esiste anche un rapporto su altri due membri della comunità, Jesus Emilio e Gildardo e su persone che potrebbero essere potenziali vittime in questo contesto di guerra sporca.
Il 27 gennaio 2005 appare una nuova comunicazione in cui il DAS chiede al sistema bancario che rapporti e conoscenze avesse su Luis Eduardo. Continua quindi il lavoro di intelligenza offensiva.
Esiste un ultimo documento del 9 febbraio 2005, un rapporto inviato al Direttore Generale del DAS (condannato poi a 40 anni per lavori di intelligenza che portarono all’assassinio del sociologo Alfredo Correa de Andreis, nella città di Barranquilla da un congiunto di integranti del DAS e paramilitari) in cui, oltre a ricevere informazioni su Luis Eduardo, riceve anche la sua foto.
È stato quindi fatto un lavoro fino a 20 giorni prima del massacro, in cui le vittime vengono considerate come il nemico da distruggere.
Il 25 febbraio il comando dell’Esercito e il Comandante della Forza Militare fanno uscire una mappa in cui rivelano che non potevano essere stati gli autori del massacro, in quanto le truppe si trovavano a due giorni di cammino e che il crimine era da attribuire alle FARC.
Dalle confessioni dei militari durante il processo si è stabilito che, a partire dal giorno 14 febbraio 2005, il Presidente Uribe aveva iniziato ad esigere risultati dalle truppe, in seguito ai fatti del Porroso, in cui erano stati uccisi 19 militari da parte delle FARC.
Davanti a questa esigenza, il 15 febbraio arriva a Carepa (Apartadò) Carlos Alberto Ospina Valle, Comandante delle Forze Militari; da Santa Marta arriva Mario Montoya Uribe, Comandante del Comando Congiunto Caribe; con Ospina Valle, arriva Gabriel Jaime Zapata, nominato Comandante in carica della Brigata XVII.
Si è sempre detto e confermato che le truppe non avrebbero potuto partecipare, però si è riusciti a dimostrare che, già da prima si era deciso di alterare le coordinate dell’ubicazione delle truppe e di cambiare la giurisdizione dei battaglioni per sviare le indagini.
Oggi si può affermare che la gestione del caso del 21 febbraio desta abbastanza preoccupazioni sull’amministrazione della giustizia in Colombia.
A livello di Forza Pubblica sono stati processati dieci militari ed in seguito altri cinque. Questi primi dieci processati sono stati tutti assolti in prima istanza dalla giudice che gestiva il caso.
Oltre a tutte queste prove, che sono documenti militari, ci sono le testimonianze di quattro militari che raccontano di aver dormito e camminato con i paramilitari; esistono testimonianze di dieci paramilitari, e la giudice ha deciso di assolvere tutti i militari che parteciparono a questo crimine attraverso un’argomentazione: non esiste un documento che provi l’esistenza di un accordo tra militari e paramilitari per commettere questi delitti. Quindi la giustizia in Colombia esige che, per provare un delitto bisogna avere una prova scritta anteriormente del fatto che dimostri che si siano messi d’accordo prima di commettere il crimine.
I militari furono accusati anche dell’atto di barbarie, e la giudice decise di assolverli da questa accusa attraverso una considerazione: le prove facevano dedurre che i bambini Deiner, Natalia e Santiago fossero stati decapitati e squartati dopo la loro morte, quindi per la giudice, questa circostanza faceva decadere l’atto di barbarie. Questo ci dice che l’atto di barbarie lo compie chi amministra la giustizia nel fare questo tipo di considerazioni.
Infine la giudice li assolse per un’altra argomentazione: i militari non potevano essere obbligati a scontrarsi con i paramilitari, perché sarebbe stato come mettere a rischio il proprio diritto alla vita, un diritto irrinunciabile, che la Forza Pubblica non è obbligata a mettere in gioco per proteggere la Comunità di Pace.
Di fronte a questa decisione della giustizia è stato presentato un ricorso per far si che il Tribunale di Antioquia valutasse il comportamento della giudice, chiedendo un’investigazione per il suo agire completamente contrario al diritto, in quanto stava favorendo i criminali andando contro tutte le prove; il tribunale decise quindi di revocare parzialmente la sentenza.
Inizialmente nel processo erano implicati il Comandante del Battaglione, il Secondo Comandante del Battaglione, il Capitano Gordillo, tre Tenenti, un Sottotenente e quattro sotto-ufficiali. Il tribunale ha revocato la sentenza e ha imputato come responsabili cinque persone: il Capitano Gordillo, il Tenente Jaramillo, il Sottotenente Milanes, il Sergente Obrango Agames e un altro Sottoufficiale, lasciando fuori tutta la linea di comando che aveva partecipato al massacro, per cercare di proteggerla (dal livello di comando della divisione del Comando Congiunto Caribe, due Comandanti di Brigata, gli integranti dello Stato Maggiore e i comandanti dei battaglioni che parteciparono). La responsabilità è stata fatta ricadere solo sugli esecutori materiali.
Quanto segue è la conformazione dell’unità che partecipò al crimine: 80 paramilitari e 270 membri della Forza Pubblica, quindi fu un’operazione di circa 350 integranti tra militari e paramilitari. Dei 350 che parteciparono, sono stati condannati 29 paramilitari, tutti di basso rango del Fronte Heroes de Tolova; fino ad ora nessun comandante è stato indagato. Sono stati condannati cinque militari e sono investigati altri cinque. Esiste quindi un’impunità superiore al 93%.
Il 12 marzo finalmente la Procura ha emesso un giudizio per il quale riconosce che militari e paramilitari hanno lavorato insieme tutto il tempo, che le scuse sul fatto che le proprie vite fossero in pericolo non possono essere accettate in uno Stato di Diritto e chiede alla Corte che la totalità dei militari, inclusi il Colonnello Espinoza e il Maggiore Castaño siano condannati”.