Esperanza, terra fertile

Colombia

Racconta la sua storia Miguel, mentre noi ci ritroviamo li seduti, orecchie pronte ad ascoltare, con il nostro piatto di cibo in mano. Un gesto di rispetto a cui non possiamo sottrarci: l’accettare il pasto per primi, ospiti desiderati a cui offrire ciò che di pronto bolle in pentola. Il riso è del raccolto  dell’anno scorso ci spiegano, banane stufate, yuca e fagioli. Tutti prodotti della loro terra.

Una panca in legno e due piccoli ceppi  d'albero a fare da sgabello. La luce del tramonto entra dallo spazio lasciato libero tra l’ultimo asse di legno della parete e il tetto. Ho provato a scattare una foto a quei colori.  Ho spento dopo un paio di tentativi la fotocamera.  Cani, gatti, maiali, galline, pappagalli, pavoni, zanzare, mucche, muli e cicale fanno da sottofondo ai dialoghi. Siamo giunti qui dopo circa cinque ore di viaggio in mula, che non sempre però equivale a dire meno fatica. Le mie ginocchia si lamentano, stendo le gambe rattrappite , sorseggio un po' di tinto (caffè) , allungo le mani per ricevere il piatto.
Ho cercato delicatamente il racconto di Miguel, della sua vita, delle sue scelte.  E' sempre difficile fare domande, fare quel tipo di domande. Mi richiede uno sforzo enorme. Poi però penso che è talmente prezioso il suo vissuto, che mi faccio forza e tra una battuta e l'altra incanalo il discorso verso la sua storia. Spero sempre di essere delicata, uno “spolverare” cristalli fragili, ma cosi preziosi.
Racconta  lo sfollamento, forzato, di quel cammino con le mani legate dietro le schiena dopo che i paramilitari avevano fatto irruzione nella sua casa;  del distacco dalla moglie e dai figli. Racconta degli animali rubati, muli e vacche, e delle continue accuse di far parte della guerriglia.  Racconta delle minacce di morte: per un momento ha pensato non ci fosse più nulla da fare, che l'avrebbero ammazzato. Racconta che comunque, alla fine, è stato, anche, trattato bene. Parla della  liberazione, il rientro e la difficoltà del ricominciare. Racconta la scelta di intraprendere la lotta nonviolenta con la Comunità di Pace, li, alla Esperanza, terra fertile per la semina, ricco pascolo per gli animali. Scegliere l’umanità. Dopo aver vissuto tanta violenza, tra cui l'uccisione di un figlio minorenne da parte dei paramilitari, scegliere di continuare su questo cammino, fangoso, in salita, minato. Senza mai cadere nella trappola dell'odio, della vendetta. Si, è prezioso il suo racconto. Racconta della scelta di ritornare nonostante la paura: “no estaba amañado en el pueblo” (non mi adattavo nel paese).
Chiedo se sa come mai questo villaggio porta il nome della Esperanza. Mi risponde che negli anni ‘70, quando vi era giunto da Dabeiba scappando dalla violenza della zona e scegliendo questa terra per il suo essere cosi feconda, qui, questa parte di selva colombiana, era già conosciuta con questo nome.
Un nome divenuto un simbolo, penso tra me. La decisione di esporsi in prima linea in un area di confine tra il controllo territoriale guerrigliero e paramilitare. La serenità con cui esprime le sue ragioni, non nascondendone le difficoltà. Una profonda determinazione. Gente fiera e dignitosa. L’essere campesino e  l'orgoglio con cui fa uscire queste parole. Un orgoglio che ti spiazza, ti ammutolisce. Quel machete sempre legato in vita... legato alla vita. E non è un gioco di parole.
Difendere le loro terre, la loro libertà con le sole armi della verità e dell’amore. Difenderle comunitariamente, contro l’egoismo dell’accumulo delle ricchezze. Il nostro egoismo. Si, è possibile.
Sono particolarmente legata a questo villaggio, alla lotta che Miguel ogni giorno porta avanti coltivando questa terra, coltivando Esperanza. Alla sua forza, al suo coraggio, al suo essere così coerente.
Hanno costruito una strada ora, sterrata. L’hanno costruita illegalmente. Non c’è stata una consultazione popolare, non c’è un progetto, il comune non sa nulla, i macchinari appartengono ai paramilitari. O meglio, un progetto c’è: estrazione del carbone.
Hanno chiesto a Miguel il permesso per poter passare anche sulla sua terra. Terra comunitaria. Terra di resistenza. Terra fertile.
La Comunità di Pace ha negato l’accesso. In un Paese dove si è cercato e si cerca di annientare qualsiasi forma di opposizione e dissenso, qualsiasi forma di resistenza pacifica, in un Paese dove il mezzo usato per silenziare le bocche sono i massacri, la violenza fisica e psicologica, le sparizioni, le intimidazioni e le minacce, lui, Miguel e la Comunità di Pace resistono, coerentemente.
Una pacca sulla spalla a dirgli grazie. E' un uomo un po' basso Miguel, tipica statura dei contadini colombiani. Mi riesce bene questo gesto. Un mezzo sorriso, quasi a volermi dire, grazie di che?
Le amache sono appese, il fuoco in cucina è quasi spento, gli animali riposano appena al di fuori dello steccato. Solo le zanzare rimarranno vigili tutta la notte. Mi stendo e mi avvolgo con la coperta di pile, fa freddino di notte e la casa di Miguel si trova su di una collina dove spesso soffia una leggera brezza. Una marea di stelle nel cielo, il chiarore della luna.
Sono nel posto giusto, la Esperanza, terra fertile.

 

S.