Crisi al confine tra Colombia e Venezuela

Colombia - Fonti: www.anncol.eu e Semana.com

Da sempre la frontiera colombo-venezuelana è stata lo scenario ideale per il dilagare di traffici illeciti e per gli scontri tra i gruppi armati dei due Paesi.
Da alcune settimane, però, l'opinione pubblica nazionale e internazionale tiene gli occhi puntati sulla crisi che si è scatenata sul confine tra la Colombia e il Venezuela.

La situazione è particolarmente complessa e l'ambiente agitato tanto che, il 21 agosto, il Presidente del governo bolivariano Nicolàs Maduro ha chiuso la frontiera fra questi due Paesi limitrofi, fatto che ha avuto come conseguenza diretta lo sfollamento, più o meno forzato, di più di 10.000 colombiani residenti in Venezuela.

La situazione, già tesa, è scoppiata il 19 agosto quando tre tenenti dell'esercito venezuelano e un civile colombiano sono stati attaccati con armi da fuoco nell'area urbana di San Antonio del Tachira (Venezuela) rimanendo feriti.
Il civile, di nazionalità colombiana, conosciuto come “El Paisa" e vincolato alla struttura paramilitare del clan Usuga, è immigrato in Venezuela e da lì operava per il gruppo paramilitare. In particolare stava fornendo informazioni ai militari venezuelani con lo scopo di colpire il contrabbando di un rivale venezuelano conosciuto come "El Gordo" che controlla gran parte delle attività illegali in San Antonio del Tachira, con la complicità della Guardia Nazionale Venezuelana.
Non a caso, un paio di giorni prima dell'attacco, proprio lo stesso gruppo di militari aveva fermato a un posto di blocco un'automobile sulla quale stavano viaggiando due membri della Guardia Nazionale Venezuelana e, dopo un'attenta perquisizione, aveva trovato droga, 42 milioni di bolivares (circa sette milioni di dollari) e 3 milioni di dollari!
L'attacco avvenuto il 19 agosto sarebbe, quindi, una vendetta legata a questi fatti.

Giustificare, però, la chiusura della frontiera e la deportazione di migliaia di colombiani con questo attacco è chiaramente troppo semplice.
Lungo i 2.219 chilometri di confine che dividono la Colombia dal Venezuela si concentrano le attività di sei gruppi armati illegali: quattro colombiani e due venezuelani. Gli Urabeños controllano principalmente il traffico di petrolio, mentre le Farc hanno il monopolio del narcotraffico. I cartelli venezuelani Los Soles e Los Comuneros, invece, controllano il traffico d'armi e l'uscita della droga dal Paese. Guerriglieri, paramilitari, narcotrafficanti e delinquenti comuni delinquono da un lato della frontiera e si rifugiano nell'altro. Al contrario di quanto dice Maduro, il fenomeno è bilaterale.
L'incidente si è convertito in uno scontro diplomatico: il 6 dicembre ci saranno le elezioni in Venezuela e, secondo gli ultimi sondaggi, l'opposizione comincia la campagna elettorale nettamente in vantaggio. La chiusura della frontiera serve, quindi, a Maduro per costruire la sua campagna politica. L'attuale presidente del Venezuela sostiene, infatti, che la frontiera aperta permetterebbe il contrabbando dei prodotti venezuelani (generi alimentari, ma soprattutto combustibile) verso la Colombia, e che questo è già la causa principale della crisi economica nel Paese. In altre parole: giustifica la crisi interna venezuelana incolpando i colombiani, ma senza parlare dell'aumento delle tasse, dello sperpero di denaro pubblico, degli altissimi livelli di corruzione e dell'eccesso di controllo da parte del governo sulla popolazione. Non è detto che questa strategia sarà vincente per Maduro, certo è che potrebbe accrescere il sentimento nazionalista dei cittadini venezuelani, ma non si può dimenticare che in Venezuela ci sono circa 5 milioni di colombiani con diritto di voto. Maduro, inoltre, sottolinea come la presenza di paramilitari colombiani abbia aumentato esponenzialmente la criminalità e la violenza.
Il governo colombiano, che ora reclama con forza il rispetto dei suoi cittadini e denuncia le violazioni dei diritti umani da parte del governo venezuelano, è direttamente colpevole della presenza di milioni di colombiani in Venezuela, sfollati nel Paese limitrofo per cercare rifugio dalla violenza della guerra. Ora migliaia di persone, che negli anni passati avevano già sofferto lo sfollamento dovuto al conflitto e alla crisi economica e lavorativa, sono nuovamente obbligate a scappare, ad attraversare il fiume con valigie, materassi e frigoriferi caricati sulla schiena, a trasportare quello che sono riusciti a guadagnarsi in questi anni per non perdere tutto un'altra volta. Molti di loro in Venezuela (punto internazionale di arrivo più importante delle vittime della violenza colombiana) sono stati accolti con generosità e rispetto, hanno beneficiato di programmi di aiuto umanitario, alimentare e per la salute.
La situazione generale è complessa e conseguenza di dinamiche e strategie politiche che sono difficilmente comprensibili, considerando anche che i mezzi di informazione trasmettono notizie frammentarie e sicuramente parziali, fortemente ideologizzate.
Ciò che anche in questa situazione risulta chiaro è la vittimizzazione della popolazione civile che, volente o nolente, viene coinvolta nella guerra fra gruppi illegali e nella disputa fra questi due Paesi che, da sempre,  si scontrano per il controllo del territorio.
Tre cose risultano evidenti all'interno della complessità di questa crisi. In primo luogo, è stato necessario che Maduro arrivasse addirittura a chiudere la frontiera tra i due Paesi per far sì che il governo colombiano si concentrasse sulle evidenti problematiche di questa zona. In secondo luogo, è  chiaro a tutti che questa crisi non avrà una facile conclusione: Maduro ha infatti scoperto che l'anticolombialismo dà ossigeno al suo regime moribondo. In ultimo, risulta ancora più evidente come l'economia “sotterranea” si sia impossessata della frontiera tra i due Paesi.