Referendum in Colombia sugli accordi di pace: la doccia fredda del no

Colombia

E' ancora troppo presto per sapere quale direzione prenderà l'onda sollevata dall'esito negativo del referendum in Colombia. Certo una doccia fredda si è abbattuta sugli entusiasmi che fino a qui, almeno a livello internazionale, hanno accompagnato la firma degli Accordi di Pace. Cosa succederà nelle prossime ore nessuno lo sa, ma il buonsenso esige se non altro di mettere a tacere quell'entusiasmo, da un lato comprensibile, ma dall'altro un pò ingenuo che ha accompagnato gli ultimi eventi di questo settembre 2016, in Colombia e nel mondo.

Certo si possono fare delle riflessioni sui dati del referendum per cui: il NO ha vinto per pochissimi voti di scarto sul SI; l'affluenza alle urne è stata tra le più basse (ha votato solo il 38% degli aventi diritto) registrate negli ultimi 22 anni; considerare il dato interessante delle località che hanno sostenuto il NO (come ad esempio Antioquia, patria dell'ex presidente Alvaro Uribe, o il Meta) e il SI (come il Chocò e in generale tutte le aree rurali, fosse solo per la speranza di non doversi più trovare in balia di scontri a fuoco tra esercito e FARC). Resta il fatto che il NO ha vinto e ora l'aria che si respira è di incertezza e grande attesa su quel che sarà di questi Accordi di Pace. Per il momento sia il Governo che le Farc hanno rassicurato che non riprenderanno la via delle armi e che il cessate fuoco definitivo e bilaterale verrà mantenuto, sul resto bisognerà vedere quali soluzioni verranno proposte nei prossimi giorni per non gettare alle ortiche quattro lunghi anni di negoziati, giunti alla fine il 24 agosto, e sui quali avevamo chiesto un'opinione a Padre Javier Giraldo (sacerdote gesuita che accompagna sin dal 1997 la resistenza civile della Comunità di Pace di San José de Apartadò) prima ancora che venisse posta la firma definitiva.

Vi proponiamo le sue riflessioni nell'intervista qui di seguito che per i contenuti, e alla luce del risultato del referendum, resta a nostro avviso ancora molto valida e attuale per continuare a riflettere. Anche sul risultato, forse non troppo sorprendente , alla luce di quanto riportiamo di questo referendum.


INTERVISTA A PADRE JAVIER SU FINE NEGOZIATI A CUBA

Padre Javier, quali sono le opportunità e i rischi per il futuro dei colombiani e del Paese dopo  l'annuncio della fine dei negoziati degli accordi di Pace?
Questo processo che è durato quattro anni si è centrato su sei punti. Quattro di questi riguardano i contenuti delle riforme quali la terra, la democrazia, la droga e il problema delle vittime. Gli altri due si riferiscono alla fine del conflitto e alla sua verificazione.
Io ho sempre avuto delle riserve di fronte alle trattative perché qui in Colombia stiamo portando avanti quasi 35 anni di processi di pace e tutti sono falliti perché c'è sempre una contraddizione molto grande tra l'ideale politico di tutto il gruppo di partiti e di persone che dirigono lo Stato e le organizzazioni popolari e i partiti  di opposizione. Una delle domande che mi faccio di fronte al futuro è: in questo accordo che si è raggiunto e che è molto esteso, quasi 300 pagine, ci sono molte promesse da parte dello Stato per fare delle riforme e creare delle commissioni che propongano un maggiore rispetto dei diritti delle persone. Ma tutte queste promesse e progetti non corrispondono al modo di pensare della maggior parte della gente dello Stato, che sono  partiti e settori sociali molto potenti i quali da molti decenni sono i padroni dello Stato e non sono disposti a cedere questo potere. Quindi uno si chiede se e come si potrà realizzare quello che hanno promesso, quando questo contraddice il loro modo di pensare.

Per quanto riguarda i due punti più importanti, cioè i primi due dell'accordo, ovvero quelli sulla terra e la partecipazione politica, io credo che non tocchino realmente la radice del conflitto.
La gestione del problema della terra sarà la creazione di un fondo di terra, in mano al governo, da ripartire tra la gente. Io sono sicuro che questo fondo lo utilizzeranno, perché da sempre è stata la prassi routinaria dello Stato per incentivare il clientelismo e la corruzione, inizieranno a ripartire pezzi di terra molto probabilmente alla vigilia di una elezione per ottenere l'appoggio elettorale.
Inoltre tutto sarà focalizzato sulla titolazione individuale della terra, ma questo considerando la condizione economica e sociale della Colombia, pone un problema molto serio, ovvero che il contadino nella maggior parte dei casi non ha la capacità economica, una volta che gli diano un pezzo di terra per farlo produrre. Avrebbe bisogno di più strumenti per farlo produrre, e visto che  non li può avere economicamente, gli impresari saranno disposti a comprare la terra, in modo da arrivare alla concentrazione delle proprietà attraverso il mercato. Durante le ultime quattro-sei decadi passate il modo per concentrare la proprietà è stato la violenza, lo sfollamento forzato, i massacri, gli omicidi, le sparizioni. Oggi cambiano questo metodo con quello del mercato. Il mercato può arrivare a una concentrazione della proprietà maggiore rispetto a quella avuta con l'uso della violenza. Quindi non si sta toccando la radice più profonda del conflitto.

Nell'accordo sulla partecipazione politica credo che ci siano delle similitudini, tutto il focus sui meccanismi di partecipazione è incentrato più che sul riconoscimento dei diritti, su un certo paternalismo e sul concedere la partecipazione politica come regalo, un regalo condizionato dal fatto che la guerriglia si sottometta al modello democratico che abbiamo, che non ha nulla in realtà di democratico, che è la partecipazione alle elezioni. Partecipare alle elezioni, avere spazio in televisione, nei mezzi di comunicazione, al congresso, al senato, alla camera, non risolve il problema di fondo. I mezzi di comunicazione sono in mano a 4 famiglie che gestiscono la coscienza del paese attraverso i media di massa. Il sistema elettorale è un sistema che si basa sulla capacità economica della gente. Questi due pilastri fondamentali non sono stati toccati per niente. Ci sono molte promesse per la creazione di commissioni per realizzare nuove condizioni per la gente, per aprire più spazi partecipativi, ma tutto questo sta scritto in un linguaggio estremamente astratto che non ha concretezza sul chi lo farà, quando, dove e come.
Questi sono i miei grandi dubbi sul futuro di questo accordo.

Ora, il più polemico, è il punto sulle vittime nel quale si è cercato come ottenere giustizia per tutti i crimini commessi, che sono molti milioni, e come rispettare i trattati internazionali sui diritti umani. Credo che questo accordo sia stato originale e creativo anche se si tratta comunque di una negoziazione tra due strutture che hanno commesso crimini: non solo la guerriglia (la guerriglia secondo i dati dello stesso Stato sembra abbia partecipato infatti al 10% di questi crimini, mentre il 90% dei crimini li avrebbe commessi lo Stato attraverso l'impiego dei gruppi paramilitari che hanno origine nello Stato). Questo disequilibrio è significativo: mentre cercano di dare lo stesso trattamento ai militari, agli impresari, ai politici, ai guerriglieri in realtà non ci riescono  perché appunto c'è questa discrepanza! La guerriglia in ogni modo lo ha accettato e questo credo perché si trattava di una negoziazione e  quindi ciascun gruppo doveva cedere qualcosa, anche se la guerriglia aveva il numero minore di crimini è quella che ha ceduto di più su questo punto.

Gli altri punti riguardano i meccanismi finali del conflitto, su come passare dalla lotta armata alla lotta politica, su come stabilire dei meccanismi di verificazione e di controllo e di protezione diciamo dei guerriglieri perché qui la tradizione da molto tempo è che ai guerriglieri si conceda un'amnistia, si esonerino dal carcere, però poi li si uccida. Per questo gli accordi hanno  un capitolo dedicato alla protezione abbastanza lungo, ma secondo me abbastanza inutile, perché si riferisce a cose che a mio modo di vedere non funzionano, come ad esempio creare una forza di polizia speciale per perseguire i paramilitari. E' da molto tempo che ci parlano di questo e non ha funzionato. Quindi io sono scettico, la cosa più di valore di questo processo è il cessate al fuoco e il fatto che si sia ottenuta la soppressione da ambe le parti dello scontro, dalla guerriglia e dallo Stato, ciò dà molta tranquillità soprattutto al settore rurale, anche se rimangono presenti altri gruppi armati. Mi sembra comunque valido che abbiano raggiunto questo accordo, ma il grande interrogativo è quanto potrà durare visto che  non è stata toccata la radice più profonda del conflitto.

Molti contadini hanno espresso la loro preoccupazioni sul tema della terra, temono che il Governo non manterrà le promesse fatte riguardo la sua restituzione e temono una possibile guerra tra gli stessi contadini per il suo possesso. Pensa che sia un'ipotesi possibile?
Sì, io credo che sia possibile perché se si disarma la guerriglia, non si sono però disarmati i paramilitari che hanno avuto un processo di pace molto fittizio, che fa si che in teoria si siano disarmati, ma nella pratica no. I paramilitari stanno sempre al servizio degli impresari e gli impresari hanno l'obiettivo di accumulare sempre più terra, per questo colpiscono le comunità afro-discendenti, indigene e  contadine. Quindi mi immagino che questa impotenza dei contadini a difendersi di fronte  alle imprese e ai paramilitari prima o poi, io penso più prima che poi, porterà ad armare nuovi gruppi più o meno simili alla guerriglia.

Negli ultimi mesi, funzionari del Governo, generali dell'Esercito e membri delle Farc hanno chiesto perdono per alcuni crimini e massacri commessi contro la popolazione civile. A noi pare che questo perdono sia più una richiesta di dimenticare quello che è stato, che valore ha?
Io credo che qui, ormai da molto tempo, la parola perdono sia stata manipolata e sempre più unita alla parola oblio, al verbo dimenticare. Qui c'è uno slogan che dice “Perdono – Oblio”. Dimenticare, se uno lo considera dal punto di vista psicologico, è una malattia, come l'Alzheimer, mentre se uno lo considera dal punto di vista morale è un'irresponsabilità. Poiché quindi l'oblio ha una connotazione negativa, mettendogli vicino la parola perdono, si vuole in qualche modo nobilitare l'oblio. Il perdono cristiano non ha nulla a che fare col dimenticare, anzi, si oppone al dimenticare.  Qui si è utilizzato il concetto di perdono per rendere più soave l'oblio e dissimulare.
Il perdono cristiano ha una connotazione molto antica che fa si che il perdono pronunciato dal Governo e dai diversi gruppi armati, non sia un vero perdono, perché il perdono cristiano in primo luogo esige un cambiamento nelle persone, nei colpevoli, un cambio di mentalità, un pentimento, un proposito di cambiare nel futuro, una riparazione dei danni commessi. E' costituito da una serie di condizioni che non ci sono in questo perdono gratuito che stanno esigendo lo Stato e i colpevoli.  Anche solo da un punto di vista etico il perdono non può essere forzato, né convertirsi in una politica. Il perdono, quando esce dalla relazione interpersonale e spontanea, è già alterato ed eticamente questo non è perdono. Quando c'è una politica del perdono si passa da una relazione interpersonale ad una relazione giuridica e istituzionale e fa perdere tutto il senso del perdono anche dal punto di vista etico. In un accordo di pace, in nessuna maniera, si può obbligare qualcuno a perdonare, salvo che non sia completamente un atto personale e gratuito, pretendendo dal punto di vista cristiano le condizioni appunto di cambiamento, di riparazione, di pentimento da parte dei colpevoli.