Il dramma de los desaparecidos forzados in Colombia

Colombia

Il dopo pranzo di una domenica assolata di novembre scorre lento e pigro, tra una “charla” e l'altra, all'ombra del mandorlo frondoso davanti a casa. Abbiamo chiesto a Don Joaquin, 83 anni, membro della Comunità di Pace sin dalla sua fondazione nel 1997, se volesse condividere con noi frammenti della storia della sua vita e, inestricabilmente intrecciata a questa, della storia della guerra in Colombia.

Solo qualche ora prima stavo cercando di decifrare dallo spagnolo la recente ricerca pubblicata dal Centro Nacional de Memoria Historica (CNMH) sul tema delle sparizioni forzate: il documento, dal titolo “Hasta encontrarlos. El drama de la desaparición forzada en Colombia”, contiene per la prima volta dopo anni numeri ed informazioni dettagliate sul fenomeno dei desaparecidos in Colombia. Ora Joaquin ci sta raccontando dei suoi figli, vittime della violenza brutale del conflitto armato, una violenza cieca di fronte all'età delle persone coinvolte. Arneite Jesus, il figlio maggiore del membro storico della Comunità, è stato ucciso dalla guerriglia, durante gli anni in cui non ci si poteva spingere su per il monte senza rischiare la vita; Diego Arlein, all'età di dieci anni, è scomparso in circostanze confuse, da un giorno all'altro e senza che sia stato possibile risalire a informazioni chiare sulla sua scomparsa. Dopo più di venti anni Don Joaquin, sostenuto da Padre Javier, storico accompagnante della Comunità di Pace, ancora sta cercando il suo corpo.

In un attimo, le denunce contenute nel documento “Hasta encontrarlos” diventano una realtà, i dati riportati prendono forma, tra i numeri uno ha un nome: Diego Arlein. Come già ho potuto sperimentare, ciò che viene raccontato da terzi, pronunciato nei discorsi ufficiali, scritto in libri e documenti, acquista qui una amara solidità. Qui: a San José, Apartadò, Antioquia, la guerra, la violenza, le violazioni dei diritti umani sono state e sono ancora la realtà. E parlare delle migliaia di desaparecidos colombiani che sono stati fatti scomparire tra il 1970 e il 2015 vuol dire parlare anche del figlio di Don Joaquin. O di altri tre membri della Comunità di Pace scomparsi nel 2000 dal villaggio de “La Union”, senza che i loro corpi venissero mai ritrovati.

Vite scomparse nell'ombra, identità che sono state cancellate dallo Stato e dagli altri attori armati nel corso del conflitto, e che lasciano nei familiari un dolore sordo e incessante, l'incertezza perenne sul loro destino. Quello della sparizione forzata è considerato – sin dalla sua applicazione da parte dei nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale – un crimine contro l'umanità e una forma di tortura. E' un crimine che contiene in sé una doppia violenza: in primo luogo la violenza fisica verso le vittime ma anche, come denunciato da Gonzalo Sanchez, Direttore Generale del CNMH, una violenza psicologica e morale per i familiari dei desaparecidos, che spesso in Colombia sono stati a loro volta vittime dello stesso crimine, per il semplice fatto di aver continuato a cercare la verità su quanto successo ai propri cari.

La situazione delle vittime di sparizione forzata viene denunciata nel documento “Hasta encontrarlos”, che contiene inoltre una ricostruzione dettagliata sulle origini storiche, sul contenuto normativo e sul ruolo giocato dallo Stato e dalla società colombiana in riferimento a tale delitto contro l'umanità. Uno dei dati più spaventosi è il numero dei desaparecidos, il più alto di tutto il continente sudamericano. Un confronto con l'entità di questo crimine in altri Paesi sudamericani fa riflettere su quanto terribile e al tempo stesso sconosciuto sia il fenomeno delle sparizioni forzate in Colombia: mentre in Argentina si sono registrati circa 30.000 casi e in Cile, durante il regime di Pinochet, i casi documentati sono stati 3.500, il CNMH ha calcolato che in Colombia, in 45 anni di conflitto armato, sono state fatte scomparire 60.630 persone – il doppio rispetto al numero argentino e quasi 20 volte superiore a quello cileno. Fino a pochi mesi fa, tuttavia, il numero stimato dei desaparecidos colombiani era molto minore, e soltanto il documento pubblicato il 22 novembre ha potuto fare luce sull'entità terribile di questo crimine.

Ciò che rende tristemente peculiare il caso colombiano è poi il fatto che le sparizioni forzate cominciate, come in altri Paesi latino-americani, durante gli anni '70 quale strategia “controrivoluzionaria” da parte dello Stato, qui non hanno ancora avuto una fine. Tutti gli attori armati coinvolti nel conflitto colombiano si sono resi colpevoli di tali azioni e a partire dal 1981 i maggiori responsabili sono stati i gruppi paramilitari delle AUC (Autodefensas Unidas de Colombia), che vi hanno fatto ricorso quale strumento per seminare il terrore e di controllo del territorio. La smobilitazione del paramilitarismo nel 2005 non ha avuto come conseguenza che tali crimini si arrestassero perché, al di la di quanto proclamato a livello pubblico, i gruppi paramilitari sono tutt'ora presenti e molto forti in alcune zone del Paese, in cui continuano a ricorrere alla violenza per mantenere il proprio controllo. Non a caso, i più colpiti da questa forma continua e sorda di violenza sono stati i campesinos e gli abitanti delle zone rurali, da sempre vittime incolpevoli del conflitto colombiano in ogni sua dimensione.

Un altro aspetto che caratterizza la vergogna delle sparizioni forzate in Colombia, come evidenziato dal documento, riguarda la mancanza di consapevolezza da parte della società civile di quanto accaduto. La maggior parte dei desaparecidos sono stati portati via nel silenzio e nell'omertà della popolazione, a cui si aggiunge un clima di forte impunità da parte degli organi statali che da sempre ha caratterizzato tali crimini.  La mancanza di pressione sociale sulle Istituzioni perché fossero fatte verità e giustizia ha fatto sì che per molto tempo non ci fossero meccanismi di prevenzione e repressione di tale crimine. Soltanto nel 2000, superando l'ostracismo governativo, è stato inserito nel Codice Penale il reato di “sparizione forzata”, ma a tutt'oggi mancano adeguati meccanismi di denuncia e investigazione.

La conseguenza della mancata assunzione di responsabilità per tali crimini sia da parte dello Stato (doppiamente colpevole: tanto per essere stato attore e complice delle sparizioni forzate, quanto per non aver saputo proteggere i propri cittadini), che da parte della società civile, è un forte isolamento patito dalle famiglie dei desaparecidos, rimaste sole nella propria lotta. Se l'atrocità del crimine è stata portata all'attenzione del mondo colombiano è soltanto merito loro, attivi come singoli, ma anche all'interno di Associazioni e gruppi (la più importante, la Asociacion de Familiares de Detenidos y Desaparecidos – Asfaddes). Ugualmente, si deve agli sforzi e alla presenza attiva dei famigliari la previsione, all'interno degli Accordi di Pace tra il Governo colombiano e le FARC, di una Unità speciale di ricerca di persone date per scomparse nel contesto del conflitto armato (“Busquedas de Personas Dadas por Desaparecidas en el Marco del Conflicto Armado”). A pochi giorni dalla firma dell'Accordo, avvenuta il 24 novembre 2016, restano tuttavia ancora incerte le sorti della sua implementazione, e di conseguenza sui risultati che potranno essere raggiunti da tale organismo di natura extra-giudiziale.

Ciò che emerge in modo netto e incontestabile dal documento del CNMH è che dopo anni di silenzio e indifferenza sulla pratica delle sparizioni forzate, è venuto il momento di fare luce su ciò che è avvenuto in passato per vigilare affinché questo crimine non venga più perpetrato. Le storie dei desaparecidos che si intrecciano con quelle dei membri della Comunità di Pace, che ho ascoltato e di cui ho letto in questi giorni, devono essere raccontate e conosciute, da tutti i cittadini colombiani, perché la memoria è il primo passo verso la giustizia e la non ripetizione di questo crimine. Tutta la società civile colombiana deve accettare di giocare un ruolo attivo nel coltivare la memoria di quanto accaduto, ma anche nell'avviare una mobilitazione perché sia rispettato il diritto delle vittime e dei loro familiari alla verità e alla giustizia da oggi in avanti. Se ho imparato qualcosa da questi mesi vissuti in Comunità di Pace è che la pace - quella che in Colombia, nonostante i recenti accordi e i premi internazionali, ancora non c’è - si costruisce giorno per giorno con la partecipazione di tutti i cittadini colombiani. Si costruisce anche ricordando le vittime dei crimini di Stato, come i 60.630 desaparecidos degli ultimi 45 anni, e costruendo una giustizia reale per le loro famiglie: perché giustizia per queste persone, significa in realtà giustizia per tutti coloro che vivono in questo Paese e che lottano ogni minuto per un Paese di pace.

Ele.