Frammenti della prima settimana di una volontaria

Il furgoncino dall'aeroporto, attraverso i campi di banano, ci trasporta fino al terminal di Apartadò, la stazione degli autobus. Ci sono le signore che vendono i chontaduro, frutti arancioni dalla consistenza simile a quella di una castagna, che si sbucciano e si mangiano con il sale o con il miele. Ci sono i signori che vendono succhi di frutta spremuta, serviti con zucchero e ghiaccio – necessari in questo caldo torrido, umido e afoso, che sa di giungla, oceano ed equatore.

Sui banchetti del mercato si vedono manghi, avocadi, papaye, maracuye, banane… molti altri sono frutti che non ho mai visto. Vorrei assaggiarli tutti, cerco di ricordarne i nomi: col tempo riuscirò a collegare un sapore ad un'immagine, a un nome.
Al terminal c'è il chivero, una grande jeep straripante di persone, sacchi di riso e mais, borse del marcato e quant'altro, che ci porterà fino alla Holandita, la vereda centrale della Comunidad de Paz de San Jose de Apartadò, a circa 1,5 km da San Jose.
Quaranta minuti di strada non ammortizzati, curve, sassi, salti, fossi, sbalzi che mi sovvertono lo stomaco e mi ricordano i viaggi nella jeep del nonno, tanti anni fa. Ma il paesaggio è bellissimo e mi distrae. La giungla è imponente, di un verde intenso e scuro – inonda la strada e le pendici delle colline con alberi, piante e arbusti composti da foglie e frutti di ogni colore e forma. Qua e là si dislocano casette fatte di assi di legno colorate, giardini e orti, baracche negozietti che vendono uova, riso, bibite e gelati, galline e cani che attraversano la strada senza paura, motorette che sfrecciano veloci verso la città e che trasportano una, due, tre, quattro persone.

La Holandita mi appare come un luogo magico e surreale, come in un racconto. Un grande orto-giardino, selvaggio, ma curato, dove scorrazzano felici e indifferenti galline, porci, cani, cavalli, tacchini e gatti. Silvia mi mostra la comunità e mi fa conoscere i suoi abitanti: la falegnameria, la bottega, il chiosco, la scuola, la biblioteca, la casa degli altri accompagnanti internazionali, la mensa e le casette colorate dove vivono uomini, donne e bambini che, in mezzo al conflitto interno colombiano hanno scelto la resistenza nonviolenta, la non-collaborazione con gli attori armati coinvolti nel conflitto (Stato, guerriglia, paramilitari), la solidarietà, la memoria. Sono uomini e donne forti, sorridenti, accoglienti, rispettosi e disponibili – la loro saggezza, la loro esperienza (fatta di sofferenza e di forza comunitaria per superare quella stessa sofferenza) emerge nei loro sguardi, nelle loro storie.
Anche la casa de “Las Palomas” (le Colombe) ha un'aria colorata e felice. La panca arancione all'entrata è un luogo di sosta e d'incontro per gli abitanti della Holandita, all'ombra di un albero tropicale dalla chioma grande ad ombrello e di un hibiscus in fiore. Si sta molto bene seduti qui fuori ad osservare questo micro mondo di scambi e di semplicità: c'è il signore che passa con un mulo carico di terra per costruire una nuova casa all'inizio del villaggio, la signora che porta un piatto di arepas calde a un vecchietto che vive un po' più in giù, vicino al campo da calcio, i bambini che giocano a biglie sulla strada e intrecciano braccialetti di perline colorate nell'atrio della casa di fronte, la musica  popolare contadina che suona a tutto volume dalle radio delle cucine e riempie e rallegra l'aria fino all'ora di andare a dormire.

Sabato verso le otto usciamo per andare con alcuni membri della comunità in una vereda a tre ore di mulo dalla Holandita. Il mio primo accompagnamento; è la prima volta che monto su un mulo e che cavalco. Ma Palomo (il mulo) è bravo e mi trasporta lentamente (forse troppo?!), si accorge della mia goffaggine, del mio trottare inesperto. La giungla ci inghiotte con le sue piante imponenti e aggrovigliate. Sulla strada vedo per la prima volta alberi di mango, di avocado, di cacao (con frutti gialli e rossi). Il paesaggio è splendido, rigoglioso, selvaggio e vergine – mi sembra un enorme privilegio poterlo attraversare. Penso che vorrei che questi luoghi restassero così per sempre, in armonia con i loro pochi abitanti, con gli animali e le acque che vi appartengono.
E mentre penso a questo, mi rendo conto che il senso dell'esistenza della Comunidad de Paz è anche questo: fare in modo che queste terre resistano alle smanie commerciali dei potenti, che vorrebbero trasformale in miniere o in piantagioni intensive per viziare le bocche ingorde, ricche e indifferenti di noi europei/occidentali; proteggere e salvare queste terre dal neo-colonialismo delle imprese nazionali e internazionali e dalla violenza neo-paramilitare che, dalla firma degli Accordi di Pace, si espande su queste terre.
Sul nostro cammino non li incontriamo, ma mi spiegano che i paramilitari controllano già una parte del territorio, sottomettono i contadini e minacciano tutti coloro che si oppongono al loro potere.